«Quale follia rovinò me infelice,
e te, Orfeo? Il fato avverso mi richiama indietro,
e te, Orfeo? Il fato avverso mi richiama indietro,
e il sonno della morte mi chiude gli occhi confusi.
E ora, addio: sono trascinata dentro la profonda notte,
E ora, addio: sono trascinata dentro la profonda notte,
e non più tua, tendo a te le mani inerti.»
(Virgilio, Georgiche, IV, 493-497)
Non bisogna avere paura di vedere; ma occorre possedere la consapevolezza che esistono diversi tipi di sguardo. Quello di Orfeo verso Euridice è uno sguardo impaziente; è un'occhiata inesperta, che arriva nel luogo e nel momento sbagliati. Guardare senza discernimento (a sproposito, diremmo) è pericoloso: oltre ad Orfeo, ce l'ha insegnato bene Perseo - a cui, non a caso, Atena insegna la saggezza attraverso lo specchio.
Dan Hiller |
Calenda ci invita a vedere con saggezza. E' il percorso disagevole (in obscuro) che dobbiamo intraprendere per risorgere ciclicamente a nuova vita - per ritornare al Sole. Non dobbiamo temere le vie più tortuose: spesso, sono le uniche in grado di salvarci.
Perciò, voglio dedicare la ricorrenza di quest'anno (per me così "ricco"!) alle Donne che hanno avuto la forza e il coraggio di aguzzare la vista - affinché sia di buon auspicio e per non dimenticare mai l'importanza dell'istinto, delle percezioni "da nulla", dei "piccoli" segnali.
Donne come Vassilissa, che senza troppi patemi si inoltra con la sua bambola (di nuovo lo sguardo "raddoppiato" - e dunque più forte - come nel mito di Medusa) nella foresta, a incontrare la Baba Jaga: strega temibile, certo; ma che, alla fine, lascerà libera Vassilissa proprio in virtù della sua saggezza.
Perciò, voglio dedicare la ricorrenza di quest'anno (per me così "ricco"!) alle Donne che hanno avuto la forza e il coraggio di aguzzare la vista - affinché sia di buon auspicio e per non dimenticare mai l'importanza dell'istinto, delle percezioni "da nulla", dei "piccoli" segnali.
Donne come Vassilissa, che senza troppi patemi si inoltra con la sua bambola (di nuovo lo sguardo "raddoppiato" - e dunque più forte - come nel mito di Medusa) nella foresta, a incontrare la Baba Jaga: strega temibile, certo; ma che, alla fine, lascerà libera Vassilissa proprio in virtù della sua saggezza.
Il sonno di Vassilissa: immagine di © Adrienne Segur |
O come Hine-nui-te-pō, dea "edipica" del pantheon maori, che, secondo la leggenda, divenne signora degli Inferi dopo aver scoperto (dopo anni di inconsapevolezza!) di aver sposato il proprio padre, Tane: la nuova conoscenza la conduce verso l'oscuro, ai sentieri bui che è necessario percorrere per esistere, nel vero senso della parola.
Mi piacciono queste divinità in limine: mai inutilmente crudeli, ma garanti di equilibrio, di armonia fra luce e ombra - madri e al contempo dispensatrici di giustizia, quando necessario. Più di qualsiasi altra immagine mi danno conforto e "centratura".
Hine-nui-te-pō, di © June Northcroft Grant |
Nello specifico, Hine è madre, madre dei morti e vagina dentata (ovvero retta castigatrice) e realizza alla perfezione quel ciclo di Vita/Morte/Vita che sta alla base del processo della nigredo. Il che la ricollega anche alla stessa Baba Jaga, a chiusura di un cerchio archetipico di morte-e-risurrezione del femminino: «Baba Jaga incute paura perché rappresenta il potere di annientamento e quello della forza vitale. Osservare la sua faccia significa vedere la vagina dentata, occhi di sangue, il neonato perfetto e le ali degli angeli, tutto insieme» (C. Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, p. 78).