venerdì 18 luglio 2008

Mustéria

I culti misterici si svolgevano in Attica sempre di notte, durante la luna calante.
Nella tenebra più completa, quindi - densa come solo la notte dell'antichità lontana (priva dell'abbaglio che caratterizza i moderni centri abitati) poteva essere.
Il termine "mistero" deriva da mùstes, "iniziato" e dal verbo muéo, "iniziare". Quest'ultimo, a sua volta, deriva da mùo, "chiudere gli occhi".
La connessione fra conoscenza e cecità, impossibilità a vedere, è fin da subito evidente.
Gli iniziati ai Misteri Eleusini nella notte chiudevano gli occhi: così incominciava il loro viaggio, a ritroso nell'interiorità e avanti, verso la dimensione dell'ou-topia, di ciò che non può essere compreso, se non pagando un prezzo molto alto: la vista umana.


Oper your eyes, di © Scott Austin

Sono ciechi infatti i grandi sapienti, i poeti in-vasati, ciechi gli indovini. Per i Greci, la conoscenza passa attraverso lo sguardo e lo trasfigura. Chi vuole conoscere (e vedere) resta abbagliato, irrimediabilmente. E' una cicatrice, un marchio impresso nella retina.
Per questo, secondo Esiodo, i rituali misterici sono «terribili a vedersi» (Le Opere e i Giorni, 756).
E per questo Pindaro scrive:

Felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quelle cose: conosce la fine della vita, conosce anche il principio dato da Zeus. (Fr. 137)

La dimensione femminile "ctonia", generatrice e distruttrice (alfa e omega), è la verità che non può essere svelata, se non in determinate circostanze. In questo senso il gesto simbolico del "chiudere gli occhi" da parte dell'iniziato (gesto che richiama da vicino, in un ripetersi devoto, l'atto di indossare il velo compiuto da Ctonie, nel mito raccontato nel post precedente) risulta particolarmente significativo: è l'incipit che apre la strada, il cammino circolare che conduce alla risoluzione - e dunque la fine.

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