giovedì 20 dicembre 2012

Per aspera ad astra


C'è sempre troppo rumore. DETESTO lo strepito, chi parla a voce troppo alta, chi si agita senza motivo, chi è sempre pronto a dire la propria su qualsiasi argomento, anche senza averne competenza né esperienza.
In questo periodo, poi, ci si mettono pure le profezie millenaristiche, ad aumentare il frastuono.
E dire che ci troviamo sotto la reggenza del Viaggio, del Percorso e della Scoperta - e mai come ora dovremmo badare a "dove mettiamo i piedi", a essere con-centrati sul nostro modo di essere nel Mondo e per il Mondo!
In verità noi tutti dovremmo (il condizionale è d'obbligo) avere coscienza di andare incontro ogni anno a un ciclo completo di morte e di risurrezione (per gli antichi romani il mundus era la fossa che fungeva da collegamento con l'Oltre-mondo e che veniva aperta tre volte l'anno, per permettere alle due realtà di entrare in contatto e di completarsi a vicenda, contribuendo alla formazione di un sensus universale). Al contrario, non solo la maggior parte delle persone (la Rowling, nel suo universo magico naïf, non aveva poi tutti i torti a chiamarli "Babbani"!) non ha la benché minima coscienza del Sé, del cosmo e del caos in cui si trova (suo malgrado?) immersa; ma, ultimamente, sembra afflitta da un vero e proprio "delirio di fine del mondo". Lo stesso che De Martino individuava (nel bellissimo saggio La fine del mondo, edito da Einaudi) come stato psicopatologico e che anche in psichiatria mostrava di possedere due diverse accezioni:
a) aprendosi come passaggio al nuovo (oggi: movimento della decrescita, rivoluzione dei consumi, autoproduzione ecc.)
b) involvendo verso la percezione di un (auto)annientamento (oggi: distruzione della terra nelle sue molteplici forme, mancanza di empatia, marcato e diffuso specismo ecc.)
Credo che sia inutile richiamare alla memoria di chi sta leggendo i numerosi problemi sociali, economici, culturali a cui stiamo andando incontro da ormai parecchi mesi. Ci troviamo di fronte a una sorta di "schizofrenia" collettiva o ci troviamo davvero di fronte a una catastrofe imminente?
Con molta semplicità (dato che non credo molto nelle baggianate da veggenti di celluloide!), credo che collettivamente dovrem(m)o affrontare un (lungo?) percorso attraverso la marcescenza, attraverso le "acque morte", prima di ritornare alla luce. Per aspera ad astra. E non sarà (o non dovrebbe essere!) un percorso per pochi eletti, ma un Cammino collettivo.
Di fatto, dubito che accadrà; ma mi piace immaginarlo. Concedetemi qualche immaginaria soddisfazione.
«Una guardarobiera di 52 anni: quattordici giorni prima che fosse condotta in ospedale, essa aveva di notte lasciato una lampada sempre accesa, poiché si sentiva angosciata. Nella notte di San Silvestro la sua angoscia era stata particolarmente intensa, in quanto la ragazza aveva detto che fra Natale e Capodanno il mondo sarebbe sprofondato. Il giorno successivo aveva lavorato come guardarobiera. Uscita per strada, era così buio, nessuna stella brillava, nessuna campana suonava. Fu assalita dall'angoscia che il mondo sarebbe andato in rovina. Verso le otto si recò in chiesa, ma errò a lungo per le strade, e suonò "alle case dei ricchi". Le case erano immerse nelle tenebre. Dopo aver suonato, qua e là apparve una luce alle finestre: contemporaneamente le stelle l'una dopo l'altra tornarono a splendere, e anche la luna. Ne fu contenta, pensando che il mondo non sarebbe crollato. Continuò a correre: "Ero come trasportata da una corrente, ero stanca morta e tuttavia dovevo sempre correre".» (E. De Martino, La fine del mondo, p. 35)
Per quel che mi riguarda, ho scelto la strada della leggerezza che poi tanto "leggera" non è; una leggerezza "calviniana" capace di dare buoni frutti, insomma... In attesa e con rispetto, alla Nuova Luce.

mercoledì 17 ottobre 2012

In limine (primi passi)

Siamo di nuovo in Cammino - e ancora una volta stiamo per varcare la Soglia. Il ciclo che si ripete, che ci chiama.
I segnali (come sempre) ci sono - e sono inequivocabili.
A me non interessa essere "Maestra", presentarmi come l'iniziata di chissà quale via misterica, essere invidiata, temuta, riverita o anche solo chiacchierata. Lascio ad altri (sicuramente molto meno occupati di me, nella vita quotidiana!) questo sfiancante mestiere.
Io sono l'Ammalia-api, la Collezionista di Sassi. Tutto qui.
Di ogni ciottolo conosco il colore e leggo la storia. Con tutte le storie, infine, tesso una tela. Credetemi: non c'è davvero nient'altro.

Il mio nuovo famiglio è arrivato con l'Equinozio d'autunno. "Perso" e poi ritrovato, non a caso tra il ventuno e il ventidue settembre scorsi. In realtà, fu lui a cercare me, nella canicola d'agosto (preludio di morte... nel caldo estivo sperimentiamo la prima marcescenza...). I gatti, si sa, non sbagliano mai.
E' un animale malato, ma molto forte. Magrissimo, eppure inattaccabile - nonostante tutto quello che ha subìto: i due successivi abbandoni, il passaggio da una struttura d'accoglienza all'altra, il ricovero in clinica (e in gabbia!) per più giorni... Al momento, non saprei davvero indicare una creatura a me vicina che sia più "in limine" di lui. La sua tenacia, la sua straordinaria capacità di recupero lasciano ben sperare - sembra che questa nuova discesa sia cominciata sotto una buona stella.

(Chi vuole raccogliere ciottoli insieme a me?)

mercoledì 26 settembre 2012

Nuovo Autunno

Ci sono momenti in cui bisogna andare e altri in cui è necessario ritornare. Come con molte delle mie cose personali, anche con il Cammino intrattengo un rapporto ondivago - e questo già si sa.
Ma, a volte, è opportuno allontanarsi semplicemente per mettere un freno all'altrui ingerenza. Il che non significa avere paura degli altri, bensì avere la forza di fermare lo sterile chiacchiericcio, prendendo le distanze da futili questioncelle.


Mi è sembrato giusto ritornare a ridosso nel Nuovo Autunno - e di farlo con rinnovato amore per l'Ordine. Ne abbiamo bisogno. Tutti quanti.                          

venerdì 30 marzo 2012

"Il nostro bottino di guerra è la conoscenza del mondo..."

Quella che stiamo vivendo è una strana primavera. Una primavera "come non dovrebbe", allo stesso modo in cui era apparsa insolita l'ondata di freddo intorno a Candelora: in quei giorni aveva fatto decisamente troppo freddo; ora fa troppo caldo - e tutto (la natura, gli animali, i comportamenti delle persone) è permeato da un'insolita frenesia. Una frenesia sterile, oserei dire.
Non è (solo) una questione di temperature: come al solito parlo di consapevolezze, di "centrature", della capacità di "vedere" - sia a livello individuale sia a livello globale. Ogni effetto sul piano concreto (anche il più banale) ha sempre un rimando ai piani più alti e sottili.
Non a caso nel post precedente avevo parlato della necessità di rispettare la delicatezza del Risveglio. In realtà, credo che abbiamo fatto troppo chiasso. Pensateci: quante persone intorno a voi hanno strepitato per cose da nulla, mettendo in atto comportamenti sbagliati e potenzialmente pericolosi? Quanto al clima sociale che stiamo respirando... quest'ultimo credo che si commenti da sé.
Rabbia e malcontento sono evidenti da un lato - insieme a una manifesta incapacità (cecità) di adeguarsi ai cambiamenti, di scegliere nuove strade, che siano realmente alternative; d'altro canto, un'ondata spiacevole di sottile e malcelata repressione: il tentativo, da parte dei poteri forti, di chiudere la bocca alle folle con metodi fascistoidi, di eliminare l'opposizione di chiunque dimostri di possedere un cervello e di saperlo usare.

Non era esattamente questo che intendevo, quando parlavo di "fase di risalita" e della conseguente purificazione!
Ormai, comunque, il dado è tratto e non ci rimane che vivere il nostro tempo con la maggiore consapevolezza possibile - cercando di avere sempre ben presente la rotta da seguire...
Personalmente ho scelto come animale-guida per questa stagione bizzarra (o, meglio, è stato lui a scegliere me!) il pavone, manifestatosi (quasi di soppiatto) appena qualche giorno fa...

Pavoni sulla strada di casa...

Il pavone
Nella mitologia greca e romana, il pavone era sacro a Hera, sulla cui coda volle applicare gli occhi di Argo, il fedele mostro guardiano che aveva custodito Io per conto della dea e che era stato in seguito ucciso da Hermes.


La morte di Argo (460 a.C.)


Diego Velaszquez, Mercurio e Argo (1659)


Di nuovo il tema dello sguardo divino, dunque, che diviene metafora di risurrezione e di ciclicità; a tale proposito, agli antichi non doveva essere sfuggito che il pavone perde le piume della coda ad ogni autunno, per rimetterle in primavera...
In India, il pavone (grazie alla sua splendida e perfetta "ruota") era un animale solare (simbolo teriomorfo legato al regime diurno dell'immagine, per dirla con Durand) e nel buddismo inneggiava (raffigurato com'era con un serpente nel becco) alla vittoria della luce sulle tenebre.
Nella tradizione esoterica, grazie alla gamma dei suoi colori, è considerato emblema di pienezza e completezza, di totalità; mentre nell'islam la coda del pavone è vista come simbolo dell'universo o, in alcuni casi, della luna piena.
Solo in un secondo momento i bestiari medievali indicarono questo animale quale metafora della superbia e dell'arroganza, a causa della bellezza sfarzosa del suo piumaggio.
Per quel che mi riguarda, voglio vedere l'apparizione (fisica, reale!) del pavone sul mio sentiero come un segnale positivo a dispetto di tutto: del chiasso, del mancanza di armonia, di questo strepito che non comprendo e non mi appartiene...
Mi riservo di ritornare - se opportuno - su questo argomento: i simboli vanno "ascoltati" nella pienezza delle loro parole appena sussurrate.


«Il nostro bottino di guerra è la conoscenza del mondo:
- è così grande da stare fra due mani,
così difficile che per descriverlo basta un sorriso,
strano come l'eco di antiche verità nella preghiera.»
(W. Szymborska, senza titolo del 1945, da Raccolta non pubblicata)

mercoledì 29 febbraio 2012

Del risveglio. E del silenzio...

Avete mai visto una Bella Addormentata svegliata di soprassalto? O Biancaneve destata dal berciare di folle inferocite, di donne volgari, di personaggi dalla dubbia moralità? Per carità.
Le fiabe, come sempre, trasmettono verità profonde - senza dar l'impressione di volerci fare la ramanzina.
Potrei scomodare Propp, su questo argomento. E invece (data la modestia di queste paginette virtuali) preferisco andare per immagini e suggestioni.

Ci stiamo avvicinando al Risveglio a passi da gigante (da gigantessa, sarebbe meglio dire...): le temperature che si alzano, il sole che si fa sempre più caldo, la terra che si risveglia. E' ora di seminare, di preparare orti e giardini. I gatti si fanno giorno dopo giorno meno indolenti: vogliono uscire, tornare ad esplorare il territorio... Segnali esteriori di una rinascita che viene dal profondo, ctonia e inarrestabile. Senza di essa, il sonno sarebbe eterno e si entrerebbe nella dimensione ou-topica del "Falciatore".
E invece no: ci si ri-genera, si riprende il Cammino nel sole, nella frenesia dei preparativi necessari per il ritorno alla Vita, dopo la parentesi d'acqua e di oscuro.
A patto, naturalmente, che si sia ben lavorato (prova ne saranno le nostre esistenze!) - e che ben si intenda il valore del Risveglio.
Molte persone (che non hanno intrapreso un determinato Cammino) considerano il periodo che precede l'Equinozio semplicemente come una fase di frenesia vegetativa e metabolica - e, ahinoi!, lo stesso fanno anche coloro che dovrebbero una maggiore consapevolezza in materia...

Sotto il segno dell'(umana) arroganza e della mancanza di consapevolezza,
un risveglio può risultare spiacevole...
Ogni anno, infatti, mi meraviglio della "faciloneria" con cui viene affrontata la "fase di risalita": come se il Risveglio non avesse bisogno di delicatezza, di consapevolezza e di una precedente purificazione (nelle fiabe spesso rappresentata simbolicamente dal viaggio dell'eroe nelle regioni del buio). Il ritorno alla luce non può prescindere dalla fase di nigredo. E guardarsi allo specchio, si sa, non è facile per nessuno.

Per quel che mi riguarda, preferisco (in queste settimane come non mai!) la via del Silenzio, che contrappone la parola (spesso ridondante, superflua; appannaggio di un sistema oppressivo maschile) alla Parola magica.
A tale proposito, ritengo interessanti alcuni passaggi del bellissimo romanzo di Laura Pariani La valle delle donne lupo.
«Però adesso basta. Ha parlato troppo. Il mondo è avvelenato dalle parole. Le parole sono una trappola. Si comincia a morire attraverso la bocca, come i pesci, diceva sopà: era uno che parlava poco, diceva che lingua sciolta è all'uso delle beghine; che l'uomo nelle situazioni difficili più risparmia la lingua e meglio avanza verso il suo scopo. Chiaro che lo diceva perché era maschio: agli uomini non piace se le donne parlano; epperciò loro tiran fuori sempre sentenze dei seculòrum per convincere le donne a tacere. [Lara!] A parte questo, lei è convinta che, efforse sì, bisognerebbe trovare un altro modo di esprimersi, un nuovo linguaggio in cui si possa comunicare con leggerissimi segni, come gli animali. Ci rendiamo conto di come le bestie sono libere senza il nostro armamentario di paroloni grdiati a voce scannarozzata?» (Laura Pariani, La valle delle donne lupo, p. 186)
Al cattivo uso della parola assistiamo tutti i giorni: nei talk show televisivi, nelle chiacchiere sui social network, sulle polemiche (sterili, inutili) portate avanti da noi stessi, amici, conoscenti, familiari... Viceversa, la Parola magica, per esprimersi, ha bisogno di un codice tutto suo, fatto di silenzio e di parole confuse, masticate e rimasticate, rese incomprensibili per il resto del mondo: le distrazioni non sono ammesse.
«Ché ogni forza sta nella lingua, nella parola ben masticata nella testa, la sciura non lo sapeva? Naturalmente lei sta pensando della parola di preghiera, giusta e pesata, non del purparlé che fa solo schiuma di bocca.» (p. 113)
 Distrazioni e clamore non sono ammessi: il rumore inutile è blasfemo... Ed esiste forse clamore più stupido e dannoso di quello provocato da ruspe e lacrimogeni in Val Susa?




A voi commenti e riflessioni. Io preferisco non aggiungere altro.

venerdì 24 febbraio 2012

Della conclusione del Cammino invernale - Parte II

♦ II parte: maschere e risvegli ♦
I parte



Dalle radici pre-cristiane del "nostro" Carnevale al symbolum della maschera il passo è breve...
Ovvio che in questo post non pretendo di scrivere un trattato accademico sul simbolismo di questo complesso periodo. Non è davvero il mio intento né sarebbe questa la sede più opportuna...
Tuttavia il fil rouge che unisce queste suggestioni attraverso il tempo e lo spazio mi pare abbastanza evidente; e la maschera, devo ammetterlo, mi sembra l'immagine più evocativa, la più adatta a riassumere l'insieme di suggestioni che accompagnano il dipanarsi del Cammino nell'ultima fase dell'inverno.

Maschera come emblema di morte, come veicolo tra un mondo e l'altro - metafora estrema che è viaggio e superamento del limite.
Donato Bosca ricorda come l'etimologia del termine "masca" (la strega piemontese per eccellenza) possa essere ricondotta all'idea di metamorfosi cui il mascheramento presiede:
«Secondo questa teoria dal verbo arabo masakha, che in una sua accezione significa "trasformare in animale", si arriva al sostantivo maskh, che indica l'operazione stessa della trasformazione.»
La prima suggestione è dunque di tipo visivo e rimanda senz'altro all'immagine della maschera: le masche, infatti, amano ricorrere alla metamorfosi per portare a compimento i loro (nefandi!) propositi. Le si può incontrare trasformate in cane, gatto, caprone o gallina, nelle ore di "confine", quando la campagna è immota... e allora conviene recitare forte tutte le preghiere che si conoscono!
La seconda suggestione (a mio avviso più pertinente) è invece di tipo uditivo, legata alla parola:
«"Masca" è un nome occitano che indica lo stile malefico di alcune donne. Non sai che le streghe borbottano scongiuri? Murmurant carmina? Gli spagnoli dicono mascar per masticare, biascicare, da cui il verbo "mascellare", ossia bofonchiare insulti e orazioni.» (D. Bosca, Masca, ghigna fàussa, pp. 16-17)
Parola rovesciata - in quanto parola magica; parola travestita, mascherata, resa indecifrabile secondo i canoni del linguaggio comune.
In ogni caso la "maschera" ci riporta all'ou-topico, all'incontro fra mondi contrapposti e al tempo stesso comunicanti - incontro che conduce allo svelamento e non di rado alla morte.

Del resto, l'analogia tra la morte e la mascherata (la Morte mascherata!) è antica e percorre indenne i secoli: dalle maschere funerarie a quella di Medusa, per giungere sino a La mascherata della Morte Rossa di E. A. Poe:
«Nelle prime sei sale batteva febbrile il cuore della vita e le maschere turbinavano gaie. Così, di ora in ora, la festa si trascinò sempre più pazza, finché, d'un tratto, l'orologio non prese a battere la mezzanotte. Allora la musica cessò di colpo, i danzatori interruppero le proprie evoluzioni e ogni movimento si irrigidì. Erano ben dodici i colpi che la campana dell'orologio avrebbe dovuto scandire; ci sarebbe stato più tempo perché la riflessione si insinuasse nella mente dei più folli gaudenti.
Ed ecco, prima che l'eco dell'ultimo rintocco si fosse del tutto perduta nel silenzio, molti fra la folla ebbero modo di notare la presenza di una strana maschera, sin allora sfuggita all'attenzione generale. La voce di quella nuova presenza si sparse rapidamente attorno, sussurrata di bocca in bocca, finché dall'intera compagnia non si levò un brusìo generale di disapprovazione e sopresa, presto degenerato in esclamazioni di terrore, di orrore e di disgusto.»
(E. A. Poe, La mascherata della Morte Rossa)
E' lo sterminatore che ritorna, sempre - camaleontico e capace di camuffarsi dietro qualsiasi sembiante. Anche quello (paradossale, quasi ironico!) di una Mas(cher)a...

Eppure, perfino dalla morte profonda del periodo post-solstiziale ("carnascialesca" intorno a Candelora) si può rinascere. Lo impone la ciclicità del tempo.
In questa dimensione, dunque, il Risveglio diviene centrale. Senza risveglio, la morte/sonno sarebbe eterna - annullamento dell'io nel regno dell'ou-topia (che è poi la minaccia più temibile, sbandierata dagli sterminatori d'ogni tempo e luogo). Questo ritorno alla coscienza, alla "centralità", deve avvenire secondo modalità precise, passando (con il dovuto rispetto!) attraverso le necessarie pratiche di purificazione. Senza moderazione, silenzio e consapevolezza, il Risveglio (qualora dovesse avvenire) può risultare pericoloso, nefasto più del sonno medesimo.
Su questo argomento, ho in mente un paio di "rimandi visivi" che mi sembrano utili (pur nella loro semplicità) a spiegare ciò che intendo - un concetto (quello della pacatezza) che mi sta particolarmente a cuore. Le posterò al mio ritorno da Roma...
Per il momento mi fermo qui. :)

giovedì 23 febbraio 2012

Della conclusione del Cammino invernale - Parte I

(Si dica quel che si vuole, io continuerò a chiamarlo "Cammino". Da Dante in avanti è lecito e inequivocabilmente poetico.)

I parte: pettirossi, fantasmi e silenzi oltremondani

Tutto comincia da un pettirosso...

... e dalla grande ondata di freddo che, fino a pochi giorni fa, imbiancava la campagna e teneva sotto rigido controllo la terra.
*C.* consultava il calendario ogni sera, impaziente di cominciare a lavorare al nuovo orto. «Siamo indietro, siamo indietro...» mi ripeteva.
Quanto a me, la mattina mi sistemavo alla finestra per bere il mio caffè. Accanto a me il fido Cagliostro, seduto sul davanzale e intento a scorgere il movimento dei passeri, infreddoliti e affamati, nel campo al di là della roggia.
Intorno alle otto e mezza, arrivava il nostro piccolo ospite. Un pettirosso si affacciava all'angolo del muretto, sbirciando il piattino con le briciole sistemato nella striscia di terreno libera dalla neve. Era puntuale, ma esitante. Vedeva Cagliostro attraverso i vetri e non si azzardava a scendere per mangiare. Preferiva volare via, oltre le ortensie, e tornare solo quando il mio gatto e io ce ne eravamo andati. Lo sorpresi - intento a picchiettare nella ciotolina marrone - una sola volta, dopo essere ritornata in cucina all'improvviso, per prendere qualcosa che avevo dimenticato...
Il pettirosso è uno psicopompo (come lo sono tutti i passeri, sacri ad Afrodite ctonia), abituato a vivere in limine: possiede occhi "sovradimensionati" (come molti dei messaggeri dell'ou-topia), è solito cantare al tramonto o all'alba (momenti di "passaggio" per eccellenza) e il suo piumaggio rossastro è legato, secondo la leggenda, alla morte e all'agonia di Cristo in croce: un minuscolo traghettatore, dunque - che si avvicina alle nostre case solo quando il freddo è più pungente, il Sonno più profondo, la Morte più evidente.

Il risveglio dei Fantasmi
Quello di Candelora è un periodo delicatissimo. Il risveglio primaverile, infatti, ha sì inizio in queste settimane, ma è pur sempre circonfuso di Sonno: è ancora Morte, risveglio in divenire. Possono avvertirsi deboli movimenti oppure, al contrario, il Silenzio può essere completo, grevissimo. E' una zona decisamente ou-topica, in cui il velo fra questo Mondo e quello "Oltre" è sottilissimo e può (deve! Con le dovute precauzioni...) essere sollevato.
I fantasmi della Candelora sono "dormienti": sono fantasmi del Sonno e nel Sonno. E il sonno è silenzio, che può essere rotto solo da una parola "altra" o, tutt'al più, onirica.


Lara e la parola negata
Non è casuale che sempre in questo periodo venisse celebrata a Roma "Tacita Muta", ovvero la ninfa laziale Lara (o Lala, "la Chiacchierona", stando a quanto ci tramanda Ovidio).
La sua storia è triste quanto emblematica. Quando si invaghì di Giuturna (che non ricambiava le sue attenzioni sessuali), Giove cercò di portare a termine la propria conquista servendosi dell'aiuto delle altre ninfe, che avrebbero dovuto trattenere la loro sorella, impedendole in questo modo la fuga. Le ninfe accettarono la proposta, ma Lara andò in giro a riferire il proposito del dio - raccontandolo perfino a Giunone in persona.
Giove, allora, si vendicò strappandole la lingua e affidando successivamente Lara a Mercurio, affinché la scortasse negli Inferi, dove avrebbe vissuto il resto della sua esistenza. Mercurio, durante il tragittò, violentò la ninfa, che, in seguito a questa violenza, diede alla luce gli dèi Lari.
L'espediente della lingua strappata per mettere a tacere una donna vittima di stupro (e dunque di affermazione del potere maschile sul mondo ctonio/femminile) è ricorrente nella mitologia greco-romana: si vedano, ad esempio, il mito di Filomela, Iti, Procne e Tereo e quello di Cassandra (a cui Apollo sputa sulla bocca, lasciandole sì il dono del vaticinio, ma negandole la possibilità di essere creduta: in questo senso, la parola della profetessa troiana è "inutile" - e dunque anch'ella è come se fosse stata resa muta dal potere maschile e supero delle divinità olimpiche).
Il silenzio di queste donne possiede una duplice valenza, che ben si colloca nel panorama di Candelora/Carnevale/pre-equinoziale: è un silenzio imposto; ed è anche (per contro e al contempo) un silenzio che contiene (e tramanda, nel suo esistere!) un messaggio di "Vita nella Morte/Morte nella Vita" che è insito in ogni religione misterica.
La parola negata di Lara è dunque da annoverarsi fra quelle testimonianze (preziose) dell'affermarsi del mondo ctonio su quello "supero", in determinati periodi dell'anno.

Tra Antesterie e Lupercalia


In riferimento al calendario, non si possono non menzionare le Antesterie, che si celebravano ad Atene nel mese di Antesterione - ovvero nel periodo oggi compreso tra febbraio e marzo.
Vi si celebravano Dioniso (il dio smembrato e poi risorto) ed Ermes ctonio. Tutti i templi restavano chiusi, ad eccezione del Limnàion, sacro a Dioniso.
Durante il primo giorno di festeggiamenti si aprivano gli otri di vino e nel secondo giorno si svolgevano vere e proprie "gare di bevute". Si cercava inoltre di propiziare la fertilità del territorio attraverso il rito simbolico della ierogamia. I giorni dedicati alle Antesterie erano considerati nefasti (nonostante il clima apparente di gioia e trasgressione - carnascialesco, oserei dire!) e si credeva che, in quell'occasione, le anime dei defunti tornassero a circolare tra i vivi. Esse venivano scacciate solo al termine della festa - per dare spazio ad un nuovo ciclo vegetazionale.

Anche i Lupercalia, che si tenevano a Roma nel mese di Februarius, erano riti di fertilità e, insieme, di purificazione e di separazione dei vivi dai morti.
I giorni dei Lupercalia erano dedicati a Luperco, antica divinità che rimanda sia al simbolo teriomorfo del lupo (di cui parlerò più avanti) sia a Pan Liceo e alle divinità maschili di (ri)generazione. Il 15 febbraio si sacrificavano dei capretti e un cane; i sacerdoti Luperci si bagnavano col sangue delle vittime, ne indossavano le pelli e, quindi, inseguivano le donne in età fertile, frustandole con liste di cuoio.

[Continua...]

mercoledì 25 gennaio 2012

Imparare dai propri errori

«"Non ho visto nessun successo, nessuno scopo raggiunto per cui valga la pena di ripetere la sua vita. Ciò che le sue mani hanno toccato s'è ridotto in cenere, chiunque s'è trovato sul suo cammino è andato in rovina. D'altra parte non sento da parte di lei nessuna disponibilità a correggere l'errore. Qual è stato questo errore?"
"Le ho offerto tutto, il sole, la terra, le stelle, l'eternità. Lei ha scelto questa strada, per sé, di tutta la Luna ha scelto il bagliore dell'Oro, ma il bagliore dell'Oro, figlia mia..."
"Non sono figlia tua!"
"...è anch'esso un lato della Luna e anche lei è una parte di Attarte. Questo lato ha scelto, questo lato scelgono tutte le mie figlie e io non glielo nego, perché voglio vederle felici. Questo bagliore le ubriaca, per questo si spengono. Katina l'ha capito, ha capito che il bagliore dell'Oro non è la Luna intera e si è pentita amaramente e si è punita da sola."»
(M. Meimaridi, Le streghe di Smirne - p. 499)
Tempo fa, quando lessi per la prima volta Le streghe di Smirne di Mara Meimaridi (scrittrice e antropologa di lingua neogreca), giunta verso l'epilogo delle sapidissime avventure di Katina e di sua madre Eftalìa, provai un vago senso d'insoddisfazione. Il romanzo mi era piaciuto (e molto! Credo, anzi, che sia uno dei miei preferiti in assoluto - promosso a pieni voti insieme a Il buio fuori, Medea e Cassandra, i gialli di Agatha e alcune opere di Pavese...) - eppure avevo l'impressione di essere stata tradita.
Come poteva darsi, infatti, che la decennale vicenda si concludesse con il semplice "ritorno in vita" della strega Katina nel corpo della nipote Maria? Com'era possibile che l'insegnamento di Attarte ad altro non fosse servito che ad accumulare ricchezze - e che Attarte stessa (l'Illuminata!) consentisse alle sue discepole di condursi sempre e solo all'insegna dell'avidità e dell'egoismo?
Così, quando lessi le parole che ho riportato qui sopra, rivolte da Attarte stessa a Maria - mentre in lei covano le braci della rediviva Katina - tirai (lo ricordo bene!) un profondo sospiro di sollievo. Ecco spiegato il senso!
Esattamente come ha fatto con le sue figlie, allo stesso modo la grande madre turca non spiega nulla al lettore - se non alla fine, alzando il velo con unico scatto della mano. E la lezione che ci trasmette è semplice, come i chicchi di grano chiusi nella sua vecchia mano...

Scrutare l'orizzonte... (Da un "pensiero" di Nyc per il GdL su Le streghe di Smirne.) ~ Lawrence Alma Tadema
Non avevo mai riflettuto su questi (personalissimi?) passaggi - non con lucidità. L'ho fatto solo di recente, in occasione del Gruppo di Lettura (di cui ho parlato qualche tempo fa) dedicato a questo romanzo. (L'ho sempre detto, che leggere "in compagnia" è terapeutico!)

Come dicevo, il senso ultimo de Le streghe di Smirne è perfino banale: imparare dai propri errori è necessario, fondamentale, vitale - soprattutto per chi sceglie di intraprendere un cammino simile al mio e a quello di molti di coloro che capiteranno su queste pagine...
Ecco, anche questo post è banale; alcuni penseranno infatti, giunti a questo punto, che non si tratta poi di una grande verità e che ciascuno di noi apprende dai propri sbagli fin da bambino.

E' vero, tuttavia, che - osservando la realtà da vicino, ascoltando i racconti che ci giungono all'orecchio, imparando a valutare con un pizzico di saggezza gli atteggiamenti, le azioni, le parole e perfino i più semplici e insignificanti gesti compiuti da chi ci sta intorno - spesso ci rendiamo conto che molte persone altro non fanno che reiterare cattive abitudini, portandosi appresso catene relazionali deleterie (quanti insospettabili Jacob Marley intorno a noi!) e alimentando senza sosta fuochi di paglia, illusioni, rabbie e inganni. Nella maggior parte dei casi, inoltre, non solo questi soggetti amano avvoltolarsi in spirali sempre più strette e limitanti, ma addirittura si credono all'apice della propria forza psicologica ed emotiva - e giungono ad arrabbiarsi moltissimo contro chiunque si permetta di far loro notare che, al contrario, non è quello il modo di procedere.

Se questo atteggiamento è fastidioso e pericoloso in chiunque (oltre che molto diffuso!), trovo che sia addirittura imperdonabile se ostentato da parte di chi pretende di lavorare su piani delicatissimi dell'esistenza umana.
Sia chiaro: non si tratta di essere da principio perfetti, simili a luminose divinità. Si tratta, piuttosto, di possedere nella giusta misura umiltà e consapevolezza - le uniche doti che possano consentirci di accorgerci in tempo dei nostri errori, in modo da correggerli prima che sia troppo tardi.
Non tutti, infatti, possiamo avere la fortuna di Katina, a cui fu data da Attarte una seconda possibilità nel corpo di Maria!
Quante volte, nell'ultimo periodo, ho scritto e ripetuto la parola consapevolezza? A bizzeffe, anche a costo di risultare noiosa per i miei interlocutori. Eppure davvero il fulcro, il nocciolo, il cuore pulsante è racchiuso in questa modesta parola, in questa verità da quattro soldi... Tutto il resto (esperienza, pratica, sapere, conoscenza) viene di conseguenza - fluendo armoniosamente come un corso d'acqua dal punto della sua sorgente.

La stessa Maria, nella penultima pagina del romanzo, racconta di essere colta da un desiderio spasmodico di imparare e ampliare le proprie conoscenze solo dopo la "lezione" trasmessale da Attarte - e dunque dopo aver scelto di dare a Katina una seconda possibilità e di rinascere essa stessa a nuova vita:
«Mi prese un'improvvisa e indicibile passione d'imparare. M'interessa tutto e tutto studio in modo approfondito. Il giuramento d'Ippocrate non me lo sono messo sotto i piedi, semplicemente l'ho chiuso in un cassetto. Ho smesso di lavorare e leggo furiosamente filosofia, astrofisica, teologia, archeologia, storia, civiltà antiche, metafisica. I pianeti, gli asteroidi, i meteoriti, le loro collisioni e tutto ciò che li riguarda per me non hanno segreti. [Da notare quanta importanza dia la "nuova" Maria alle "faccende delle cielo": alle stelle fissa!] Ho studiato le religioni degli uomini, i loro "credo", le paure, i bisogni dei mortali. Katina, ora mi ricordo, quand'ero piccola aveva una grande ansia di pungolare i miei interessi in questa direzione. Adesso capisco perché.
Ho una grande facilità a leggere integralmente i testi, in qualunque lingua, e stranamente, invece di trasformarmi in una pietosa pseudointellettuale, divento ogni giorni più bella. Divento più forte di ora in ora. [...] Che bella la vita!»


(M. Meimaridi, Le streghe di Smirne - p. 501)
Senza consapevolezza, senza compenetrazione (nel suo "testamento", posto alla fine del libro, Attarte parlerà anche del rapporto fra le sue figlie e gli animali, la terra, l'acqua e il fuoco...), letture, discussioni, diatribe, affannarsi a "dimostrare di essere" non sono che inutili orpelli - simili a indumenti scomodi o a gioielli volgari, troppo vistosi.

Nella sua semplicità, trovo questo argomento particolarmente adatto alla Candelora che si sta avvicinando - alla sua lenta e tuttavia insopprimibile energia, che passa attraverso la terra, i dormienti e gli animali tutti per giungere a galvanizzare chiunque abbia cuore e mente per ascoltare...