mercoledì 19 dicembre 2007

Buone feste!



Di novità da raccontare (riguardanti università e lavoro) ne avrei; ma taccio, per sana scaramanzia.
Sto leggendo libri meravigliosi e sperimentando nuove ricette di cucina (a presto il nuovo fornello!)... ma non ho avuto tempo di aggiornare né il blog né il sito.
L'ho detto, lo ripeto: questo periodo dell'anno non mi va molto a genio. E, nonostante mi sia lasciata alle spalle la parentesi nero-depressiva di qualche giorno fa, ancora continuo a sperare che dicembre passi in fretta, insieme alle sue consumistiche festività modaiole. (Dopo la morte mi reincarnerò nel vecchio Scrooge di Canto di Natale, me lo sento...)
Avrei parecchie news anche dal mondo animale (finalmente ho fatto la pace con le poste vercellesi e mi è arrivato il numero di dicembre di "Impronte", la rivista della LAV! Meglio tardi che mai, ma se incontro il postino... @#**!)... ma dovrò rimandare pure quelle, dato che ancora una volta lascio il Web per un po'. Almeno fino al 7 di gennaio.
Per tutto questo tempo me ne starò rigorosamente rintanata nella mia casuccia dei Ranocchi, lontana dalla civiltà (!!) e da Internet.
Per il Web mi dispiace parecchio, visto che avevo appena cominciato a interessarmi del Dodecateismo e stavo cercando di capirci qualcosa sul sito dell'Ysee.gr.
Pazienza! Se ne riparlerà nel nuovo anno. Senza la connessione e lontano da ogni distrazione, ne approfitterò per scrivere e portare a termine tutti i racconti-poesie-storie che sono incompiuti ormai da troppo tempo.

A voi tutte/i, strie della rete, auguro di trascorrere questi giorni di vacanza in totale serenità e spensieratezza: ve lo meritate, tutti quanti.
Vi voglio bene e vi abbraccio forte forte.

lunedì 3 dicembre 2007

Il pellegrinaggio in età greco-romana

Il fenomeno del pellegrinaggio ci è noto soprattutto per ciò che concerne la religione cristiana.

Ma che cosa fu il pellegrinaggio in epoca greco-romana?

L'immagine del pellegrino intesa come persona umile e devota, alla ricerca delle corpo santo (tipica del cristianesimo), è estranea al mondo classico.
La religione classica è locale (ogni comunità possiede il suo Dio-eroe di riferimento, legato al territorio della comunità stessa, di cui difficilmente valica i confini) e questo influisce sul concetto stesso di pellegrinaggio: difficilmente, infatti, si tratta di un "pellegrinaggio sostitutivo" o ideale.
Il fenomeno è tuttavia attestato sia nella società greca sia in quella romana: il pellegrinaggio può essere individuale (rappresentanti di comunità che si recano in altre città o villaggi; a volte anche per ricorrenze familiari: ad esempio, i bambini venivano condotti a Delfi per il loro primo taglio di capelli) o di massa (l'esempio più illustre è senza dubbio Delfi; ma anche Olimpia, con i suoi giochi, a partire dal VI secolo fu meta di raduni importanti, come lo era Delo).



Il santuario di Delfi


Importanti sono inoltre i pellegrinaggi oracolari, necessari quando ci si accingeva a compiere imprese importanti.
Il più famoso centro oracolare era il già citato Delfi; ma anche Claro e Mileto godevano di una certa notorietà.
Altri santuari erano misterici: qui potevano accedere agli spazi sacri solo gli iniziati (Locri, Eleusi).
Vi erano poi i santuari della salute, come quello del dio della medicina Asclepio a Coo, che richiedevano pellegrinaggi frequenti, anche nei giorni in cui non si festeggiava la divinità protettrice.

Nel mondo romano il pellegrinaggio era attestato nell'area di Susa, dove si svolgeva una processione collettiva.
Ovidio ricorda l'usanza di legare nastri (simili agli ex-voto cristiani) in prossimità dei santuari.
Nonostante il viaggio (a dispetto dell'efficiente rete di strade romana) fosse, all'epoca, una vera e propria impresa, presso i Romani così come presso i Greci non è comunque il cammino - l'iter - ad avere una valenza religiosa, come avviene pertanto nel cristianesimo. Il percorso non è purificazione: erano fondamentali, invece, l'arrivo al luogo di culto e la partecipazione alle cerimonie collettive.

Fonte: Dott.ssa Anna Ferrari, Università del Piemonte Orientale "A. Avogadro", nel corso del convegno La bisaccia del pellegrino - fra evocazione e memoria, tenutosi a Casale Monferrato, Moncalvo e Torino (giornata IV, venerdì 5 ottobre 2007).

venerdì 30 novembre 2007

I misteri Eleusini

Eleusi era una città e demo dell'Attica, a ovest di Atene, con la quale era unita per mezzo della Via Sacra.
I Misteri erano aperti a tutti, anche alle donne e agli schiavi e, sostanzialmente, erano imperniati sul ciclo della rigenerazione: sesso, morte e rinascita, che nel mito vengono rievocati col racconto di Persefone rapida da Ades e a lungo ricercata dalla madre Demetra.

Coloro che desideravano diventare iniziati erano presentati al sacerdote dal mistagogo, un cittadino ateniese già iniziato.
Se la richiesta era accolta, gli aspiranti iniziati potevano partecipare ai Piccoli Misteri, celebrati ad Agre (sobborgo di Atene) nel mese di Febbraio (Antesterione): in questa occasione avveniva il rito di purificazione nelle acque dell'Ilisso. In questo modo i candidati diventavano "misti".

Il 13° giorno di Boedromione (settembre) avevano inizio i Grandi Misteri: gli efebi si recavano ad Eleusi a prendere gli hiera (oggetti sacri sul conto dei quali sappiamo ben poco), che venivano portati ad Atene con grandi festeggiamenti.

Il 16 settembre avveniva una nuova purificazione dei "misti", questa volta nel mare, e veniva sacrifica un maiale da latte.

Il 17 e il 18 settembre si svolgevano le Epidaurie, dedicate ad Asclepio, con nuove purificazioni e altri sacrifici.

Il 19 settembre una processione riconduceva gli hiera a Eleusi, lungo la Via Sacra. L'atmosfera, in quest'occasione, era molto gioiosa, allietata da canti e danze. Si giungeva ad Eleusi di sera, alla luce delle fiaccole.

Il 21, 22, 23 settembre, infine, aveva luogo la parte segreta dei Misteri. La regola era che "le cose viste, dette e compiute" durante il cerimoniale non dovessero mai essere rivelate. I Greci si attennero scrupolosamente a questo imperativo e, per questo, su quanto avvenisse durante la celebrazione sappiamo ben poco: molto probabilmente veniva mimata la storia di Demetra e Persefone, in una specie di rievocazione catartica. M. Vegetti annota: «E' possibile che la radice più remota della religiosità misterica risieda nei festival preistorici di esorcismo della morte [...]» (1).

Quel che è certo è che i Misteri di Demetra non rappresentano una rottura con la religione olimpica ufficiale: le cerimonie si svolgevano infatti nell'ambito della polis (che li organizzava, tutelava e amministrava) e agli iniziati non veniva richiesto uno stile di vita che li contrapponesse o li allontanasse dal resto della società.
Quando parleremo dell'orfismo, si capirà per quale motivo questa distinzione sia particolarmente importante.

Fonti:
- Dizionario della civiltà greca Gremese-Larousse
- (1) J.-P. Vernant (a cura di), L'uomo greco, Laterza, Bari 1991.

lunedì 26 novembre 2007

Ho sempre detestato...

... il mio compleanno, soprattutto per la stagione in cui cade: nebbia, freddo umido, pioggia.
Tutti quelli che mi conoscono bene lo sanno: nonostante la mia "neretudine", io O D I O l'autunno e l'inverno. Il freddo mi fa male al cuore, mi deprime e mi fa credere che tutti gli ostacoli in cui mi imbatto siano insormontabili. Mi vengono meno le forze, l'energia, l'ottimismo. Per questo, di riflesso, ho sempre aborrito anche la data del mio compleanno.
Quest'anno, però, *lui* ha compiuto una piccola grande magia e, senza dirmi nulla prima, mi ha portata al mare, dove il clima è primaverile, il cielo terso, l'aria tiepida, il vento leggero. Ho preso il sole sugli scogli, mi sono tolta sciarpa, cappotto e scarpe. Per due giorni ho dimenticato l'inverno e ho fatto shopping: una volta tanto me ne sono fregata persino dei soldi, mio eterno grande cruccio. Una fascia nera per i capelli, un bracciale zingaresco e una collana di pietre colorate, oltre a un paio di cosette per la mia casa: una meridiana in cotto e un piccolo gatto di legno, da mettere sulle nuove mensole della camera da letto.
Sono tornata a casa soltanto oggi e ho trovato tante mail di persone care, che si sono ricordate di me, messaggi sul blog, su Splinder... Vi ringrazio tutti!
Senza contare la cena a sorpresa di venerdì sera, alla Puledra e con gli amici di sempre, che mi hanno regalato libri meravigliosi (lo sanno, che sono la mia più grande passione!), fra i quali ce n'è anche uno... sulle streghe!

Grazie grazie e ancora grazie!

venerdì 16 novembre 2007

Della bellezza delle piccole cose

Nell'ordine:

- ieri ho finito di leggere Moby Dick fra mille lacrime (io tifavo per la balena, s'intende) e alla sera, durante la seduta di PNL (Programmazione Neuro Linguistica: una tecnica psicologica per imparare a comunicare nel modo più sano con se stessi e con gli altri), quando s'è trattato di visualizzare un lago, io lo vedevo pieno pesci.
Io (a *Lui*): «Psst! Io ci vedevo i pesci... Che significato hanno i pesci?»
*Lui*: «Che sei matta da legare. E che devi smetterla con tutti i tuoi libri».

- La mia tesi va. Sembra strano, ma va. Di idee ne ho tante, anche troppe. E scrivo, scrivo, scrivo...

- Last but not least: oggi vedo Marcello. Il mio migliore amico. Quello che mi è stato vicino prima che conoscessi *Lui* e lottavo con tutte le mie forze per ottenere il massimo da una storia malata, sbagliata, deludente. Quando mangiavo poco, pochissimo e non uscivo quasi mai di casa. Lui all'epoca faceva ancora il liceo, io avevo abbandonato un'università che ormai mi spaventava.
Sono passati... quanti anni? Due, tre? Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti: Marcy ha finito il liceo e ora è all'università, io sto per laurearmi (scongiuri scaramantici a parte), ho preso casa, la sto arredando come piace a me... Ho lavorato, sudato, pianto ancora (ma spesso è stato per felicità).
Oggi ci vediamo. Per la prima volta. Sì, perché viviamo ai poli opposti dell'Italia e il nostro è sempre stato un dialogo profondo, ma distante. Gli farò vedere la mia casa, i miei amici, gli farò conoscere C. Non mi sembra vero...

A volte la vita può essere m e r a v i g l i o s a. Davvero.

mercoledì 14 novembre 2007

Imperatoria

Nome: Imperatoria
Famiglia: Ombrellifere
Diffusione: boschi e prati umidi delle Alpi e degli Appennini, cresce fino ai 2000-2200 m.
Descrizione: pianta perenne dal fusto eretto, con foglie verdi su entrambi i lati. I fiori (che si aprono nella caratteristica forma a "ombrello") sono di colore bianco e compaiono da giugno ad agosto.



Pianta perenne molto diffusa in Valle d'Aosta, cresce tra i 1300 e i 2000 metri d'altitudine, in luoghi freschi.
Possiede proprietà digestive ed è utile (uso esterno) contro contusioni e reumatismi. Le parti più comunemente utilizzate sono la radice essiccata e le foglie.
Con la radice sminuzzata e cotta in acqua o latte, è possibile ottenere un cataplasma cicatrizzante. Oppure, con la radice e/o le foglie messe in infusione, si possono fare degli impacchi per le ferite.
La radice e le foglie tritate, se bruciate, sono ottimi disinfettanti e deodoranti per gli ambienti chiusi.

Il fiore dell'Imperatoria assomiglia vagamente a quello del Millefoglio; le foglie però, come potete notare, sono del tutto diverse: le due piante non sono facilmente confondibili.

(Infine, non chiedetemi per quale motivo, ma io sono particolarmente a questa pianticella da nulla, che cresce lungo i viottoli di montagna senza dare troppo nell'occhio: sarà per la sua capacità discreta di chiudere le ferite; sarà per l'odore non sgradevole, ma pungente, che si sprigiona ogni volta che apro il barattolino in cui la conservo... Seguendo il mio istinto, la brucio nel fuoco di Calenda.)

martedì 30 ottobre 2007

La notte in cui il velo viene sollevato

Samhain. Calenda. Chiamatela come più vi aggrada.
Questa è la notte in cui il velo si solleva.
I Morti tornano a camminare, sussurrano, ci ricordano chi siamo - noi, i Vivi.
E la Terra infine si addormenta. Un sonno lungo, necessario al prossimo Risveglio.
Il Cerchio si è chiuso.
Anche noi dovremmo imparare a completarlo.
Nelle nostre vite e per le nostre vite.
Per la completezza. Per zittire questo senso di insoddisfazione che sovente ci coglie.
Per mettere la parola "fine", di tanto in tanto, alla nostra Ricerca.

Noi (io e gli altri del Cerchio... Viola e Lunaspina, soprattutto) domani notte accenderemo le torce e bruceremo nel fuoco del camino le nostre buone intenzioni per la prossima Ruota. E anche quei pochi bigliettini che contengono ciò che siamo riuscite a concludere. (Qualcosa, sì... Il Cerchio, almeno in parte, si è chiuso.)

A voi tutti, amici lontani, auguro la più serena notte di Calenda.

Io scomparirò per una settimana, nella mia Casa dei Ranocchi.

A presto, a presto.

mercoledì 24 ottobre 2007

E poi ci diciamo (da soli) che l'uomo è un animale intelligente. L'uomo NON è un animale intelligente. L'uomo è un animale CRUDELE.
Leggete qui che cosa succede in un angolo del nostro meraviglioso mondo.

Un certo Guillermo Habacuc Vargas (sedicente artista e sicuro psicopatico) avrebbe causato la morte di un cane (chiamato Natividad) rinchiudendolo in una stanza e impedendogli di alimentarsi. Cito dal blog di Darkmcmahon:

«[...] un cane è legato ad una corda e gli è impedito di alimentarsi. In aggiunta, le mura che circondano l’animale sono ricoperte di scritte create utilizzando croccantini per cani. Inutile dire che il povero animale è deceduto poco tempo dopo l’inizio della mostra… Non riesco a capire come nessuno possa essere intervenuto per impedire questa tortura… Molte fotografie mostrano il pubblico intendo a guardare la mostra, con free drink e stuzzichini fra le mani, fregandosene altamente della vita di questo animale. L’ “artista” si giustifica sottolineando che, siccome il cane è randagio, prima o poi sarebbe morto comunque…»

Adesso questo "signore" sarebbe stato scelto come rappresentante del proprio paese alla rassegna d'arte Biennal Central America Honduras 2008. Non c'è limite all'indifferenza umana, ma noi gridare forte il nostro "NO" e boicottare Vargas, firmando questa petizione.
Vi prego, fatelo. E' importante.

(Le foto del cane, mi perdonerete, ma non riesco a postarle: mi fanno troppo male...)

lunedì 1 ottobre 2007

In perfetta ripresa, sull'orlo del precipizio...

Sono qui, né carne né pesce e forse vagamente frustrata; ma va bene così. Ho un buon rapporto, io, con le mie frustrazioni, perché so di essere Imperfetta e Contraria a ogni comune direzione: disperata quando tutti esultano, fortissima e granitica quando intorno a me si domanda aiuto. Ormai ci ho fatto l'abitudine.
Dopo il post in cui vi annunciavo la mia supplenza, lo ammetto, mi sono lasciata affondare dall'alta marea. Delusa dall'atteggiamento apatico di questi nuovi giovani così lontani da me (abbiamo solo dieci anni di differenza ma, davanti alla loro completa mancanza di passione e di orgoglio, mi sento fiera e decrepita al tempo stesso), mi domandavo che senso avesse affannarmi per preparare le lezioni, i compiti e le verifiche, per gente a cui interessa solo riempire la pancia nell'intervallo e, se possibile, evitare con l'astuzia qualche insufficienza.
E' durata un giorno. Un mercoledì terribile in cui ho pianto e singhiozzato tornando a casa in macchina, con la radio accesa. Ho compromesso il mio equilibrio, ne ho pagato lo scotto, ma alla fine mi sono rialzata. E, da venerdì scorso, ho deciso che non m'importa nulla di ciò che pensano i ragazzi o i colleghi. Ho deciso di andare avanti a testa alta lungo questo breve tragitto, senza caricarmi di problemi che non m'appartengono. Non posso risanare da sola i mali della nostra società, la perdita dei valori, il disagio giovanile: mi viene mal di testa solo a pensarci.
E allora via, avanti di nuovo a vele spiegate, col vento della spensieratezza fra i capelli. A quel paese gli adolescenti sfiduciati, i colleghi burberi e il mio conto in banca che oscilla fra depressione e speranza. A quel paese tutto, io non ho tempo di fermarmi.
Nel tempo libero ho ricominciato a pensare alla cena del 31, alla nostra piccola vacanza invernale che s'avvicina, al sito del Cerchio del Frassino da realizzare e ho perfino iniziato ad addobbare la Casa dei Ranocchi in onore del Re Autunno...
In fin dei conti sta a noi «decidere che cosa fare con il tempo che ci viene concesso», diceva "qualcuno".


Il mio cesto per l'autunno, nella Casa dei Ranocchi.

venerdì 28 settembre 2007

A piedi nudi, sotto la pioggia...

I monaci buddisti si sono messi in marcia. A piedi nudi, sotto la pioggia, senza strepito, per gridare silenziosamente la sofferenza del loro Paese. E poi la gente, dietro di loro, si è unita al corteo. E' diventata un fiume in piena, che ora i militari stanno cercando di contenere, arginare, soffocare. Zitti, devono stare zitti. Costi quel che costi.
La storia della Birmania è una storia fortemente travagliata: prima la dominazione inglese (a partire dal 1919), poi quella giapponese, durante la seconda guerra mondiale e infine la democrazia, conquistata nel '48 e distrutta nel '62, quando un colpo di stato instaurò un regime ottuso e spietato - come lo sono tutti i totalitarismi.

Oggi:

- i prigionieri politici, gettati in carcere o condannati agli arresti domiciliari, sono più di un migliaio e fra loro vi sono anche monaci, studenti, operai: chiunque si sia reso "colpevole" di criticare la politica del regime o abbia osato mantenere contatti con birmani esuli all'estero;

- i prigionieri politici, i detenuti di ogni tipo e gli appartenenti alle minoranze etniche vengono sistematicamente condannati ai lavori forzati. A questa pratica vengono costretti anche i cittadini liberi da qualsiasi condanna, qualora lo Stato lo ritenga necessario;

- la repressione delle minoranze etniche è sistematica e non di rado donne e bambini ad esse appartenenti vengono fatti lavorare come schiavi e poi uccisi, affinché simili orrori non possano essere diffusi.

E' il momento di dire BASTA.
Basta alla violenza, all'arroganza, alla cancellazione della libertà. Basta all'orrore cui abbiamo dovuto assistere nelle ultime ore.

Schieratevi anche voi al fianco dei monaci della Birmania: documentatevi sulle condizioni in cui versa il loro Paese, sulla sua storia (l'ignoranza e la mancanza di informazioni vanno a braccetto con le ingiustizie sociali!). Indossate qualcosa di rosso (io ho già appeso un grande panno rosso sul balcone e questa sera accenderò una candelina sul davanzale della finestra), come simbolo di solidarietà e fratellanza e, infine, firmate la petizione di Amnesty International, affinchè il massacro sia fermato.

La comunità internazionale non può e non deve continuare a restare cieca e sorda!

lunedì 24 settembre 2007

La mia prima supplenza

Per l'arrivo dell'autunno e l'avvicinarsi dell'Equinozio avevo in mente una serie di post sull'argomento e alcune piccole creazioni grafiche da aggiungere su M.E.Icons. E poi volevo inserire nuove foto su Flickr, farvi vedere i nuovi acquisti fatti per la Casa dei Ranocchi, le streghine che ho creato per i primi mercatini de Il Cerchio del Frassino... Tante cose, insomma.
Se non ho fatto nulla di tutto questo e sono scomparsa dal blog (è stato imperdonabile da parte mia, lo so: non vi ho neppure fatto gli auguri per Mabon!), è stato per un avvenimento inaspettato che - devo ammetterlo - ha sconvolto il tranquillo scorrere delle mie giornate (lavoro in Comune al mattino, studio al pomeriggio, weekend in campagna ecc.)
Giovedì scorso, infatti, è arrivata la mia prima supplenza alle superiori! Per quindici giorni almeno, poi si vedrà: l'insegnante che sostituisco, sulla cattedra di lettere&storia in un istituto per geometri, si è fatta male a una gamba e ancora non sa con precisione quanto durerà la sua malattia.

Di colpo, perciò, mi sono vista catapultare in una realtà nuova, fra adolescenti iperormonici (la I A è una masnada di bestiole urlanti, niente di più), colleghi più o meno simpatici, registri da compilare, lezioni da preparare... E inoltre gli esami dei debiti formativi, i collegi docenti che incombono, il lavoro in Comune da mandare avanti nel pomeriggio (alla Pubblica Istruzione sono gli sgoccioli, è vero; ma fino al 30 devo comunque presentarmi in ufficio).

Non ho più tempo per nulla. Venerdì ero disperata, perché mi sentivo un pesce fuor d'acqua in tutti i senti: coi colleghi e con gli allievi. Sabato sono arrivata a Desana per le otto e alle nove e mezza mi sono infilata nel letto, senza cena: il nervosismo dei due giorni precedenti mi aveva procurato una gastrite da Oscar. Ho dormito fino alle dieci del mattino dopo, smaltendo così tutta la tensione.
Oggi è andata meglio. Poco per volta sto cominciando a prendere confidenza con le classi e, sebbene disperatamente, riesco a tenere testa anche alla tremenda I A - almeno per il momento...

Forse quest'esperienza sarà lo stimolo di cui avevo bisogno per riprendere in mano la mia tesi e, finalmente, affrontare il grande scoglio della SIS. Oppure deciderò che la scuola non è la mia strada e mi metterò il cuore in pace.
Finora, però (e lo dico quasi con una sorta di reverenziale timore), devo dire che, nonostante il panico e il nervosismo, forse... ecco... tutto sommato mi piace.
Assomiglierò a mio padre fino in fondo? Quello che è certo, è che non gli ho mai voluto così bene come in questi giorni. Senza la sua esperienza, i suoi consigli, sarei persa.

lunedì 10 settembre 2007

Achillea Millefolium

Inizio a ricopiare qui alcuni appunti che ho preso durante l'estate sul mio quadernetto: leggende, vecchie tradizioni, letture su miti e antiche civiltà, ricette di cucina, rimedi... Un disordinato e colorato collage, che cercherò in qualche modo di mettere in ordine.

Innanzi tutto qualche riga sulle mie care erbe, che in Val d'Aosta ho avuto modo di osservare da vicino (ho preso anche informazioni per un "corso" sulle erbe officinali, che dovrebbe essere organizzato a partire dalla prossima primavera: non si sa mai...).

• Il millefoglio (Achillea Millefolium)

Nome: Achillea Millefolium
Diffusione: presente quasi in tutta Italia, cresce bene in luoghi erbosi e ai margini dei sentieri e delle strade
Descrizione: pianta erbacea cespitosa, che fiorisce in estate dando origine alle caratteristiche infiorescenze bianco-rosatem raggruppate in corimbi.

E' una pianta perenne che cresce nella fascia compresa fra la pianura e i 2000 m. Se ne utilizzano i fiori (la fioritura va da giugno a settembre), che possono essere di diverse sfumature di colore, dal bianco al rosa.


Immagine © Erbhosteria

Proprietà: diuretico, stomachico, digestivo, antispasmodico, contro l'eccitazione nervosa.

Utilizzo ~ Uso interno: si preparano infusi e tisane per combattere fenomeni allergici o per sfruttare le proprietà diuretiche della pianta. Ottimo anche contro i dolori mestruali, addominali e l'insonnia. (Preparare un infuso con 4 g di fiori in 100 ml di acqua.)

~ Uso esterno:
mazzetti di foglie e fiori applicati sulle ferite sono ottimi cicatrizzanti. Applicati secchi, in infuso, sono invece utili per decongestionare le palpebre. Infine: manciate di Millefoglio nell'acqua del bagno hanno un effetto rilassante e aiutano a purificare l'epidermide.

Il Millefoglio è per eccellenza la "pianta della divinazione": non a caso in Cina i bastoncini dell'Yi Jing erano prodotti con steli di Achillea.
Io brucio spesso questa pianta insieme all'Imperatoria, per purificare l'ambiente.

Attenzione: il Millefoglio, in quanto stimolante uterino, non va utilizzato durante la gravidanza.

lunedì 3 settembre 2007

Senza mai poter dire "punto e a capo"

Sono tornata. Ho di nuovo il mio pc, la mia connessione.
In quest'ultimo mese ho terminato di mettere a posto e organizzare la nuova casa (la lavanderia giù, al pianterreno; le ortensie e le rose da rimettere in sesto; e la cucina, piccola, con le sue travi in legno, da agghindare come una scatola che dovrà contenere tutte le nostre chiacchiere, le cene consumate con le candele accese, i miei e i suoi "esperimenti"...) e, per giunta, sono riuscita a regalarmi una settimana di vacanza in questa...


(Foto della Canidia escursionista...)

... zona della Val d'Aosta, dove la Natura (che pareva dipinta dalla penna di Tolkien) mi ha coccolata, rigenerata, amata.
Sono tornata nello stesso paesino poco distante da Cogne dove andavo da bambina, addirittura ho soggiornato nella stessa pensione; e là ho ritrovato la piccola Canidia. Non se n'è mai andata, mi ha aspettata nascosta fra le montagne per tutto questo tempo, per ricordarmi (ora come non mai ne ho bisogno) chi sono.
Poiché è facile affermare la propria personalità e la propria fede quando tutto va a gonfie vele.
Più difficile, invece, è riconoscersi allo specchio quando fuori è buio e tutte le luci della casa sono spente.
Eppure è proprio adesso che devo ricordarmi di quella bambina spensierata, stravagante, che parlava da sola mentre percorreva i sentieri della valle al seguito dei genitori, inseguendo le sue storie fantastiche, gli amici immaginari... La collezionista di sassi, la ricamatrice d'aria. Ho pianto, non lo nego. Ho pianto quando sono arrivata nella nuova casa e ho pianto ieri notte, quando ho dovuto lasciarla: per il momento, infatti, dovrò accontentarmi di abitarvi per metà settimana. Da lunedì a giovedì sarò a casa coi miei genitori, nei giorni restanti con *lui* nella nostra bizzarra Casa dei Ranocchi. Solo in questo modo potremo mantenere affitto e spese nei limiti per noi accessibili.
Il problema non è *lui*; il problema sono io: da ottobre terminerà il mio lavoro in Comune e, con la tesi e l'ultimo esame di latino che incombono, difficilmente troverò tempo per un altro lavoro che mi assorba a tempo pieno, o quasi.
Per qualche mese dovrò pazientare. E' già molto avere almeno metà settimana tutta per me e possedere finalmente una casa da arredare come piace a noi, dove poter coltivare passioni, interessi, abitudini. Ed è già molto (anzi, direi che è tutto!) che, fra mille grattacapi, io e *lui* continuiamo ad andare d'accordo, riuscendo a scorgere il cielo sereno che fa capolino oltre il temporale.
E se ero un po' malinconica, quando ho iniziato a scrivere questo post, credetemi: ora non lo sono più.

Ben ritrovati.

giovedì 2 agosto 2007

Canidia e la bianca strada di polvere

In qualche modo, al termine di un periodo durato quasi dodici mesi, è arrivato il momento di partire.
E' stato un anno ricco, impegnativo sia sul piano concreto della vita quotidiana sia su quello emotivo: non è facile far quadrare se stessi col resto del mondo. Non è facile perdonare e perdonarsi e cancellare anni e anni di conflitti familiari irrisolti, di incertezze e paure, accompagnati da una buona dose di scarsa autostima. Ed è stancante (ma non impossibile) mettere d'accordo il lavoro, gli esami universitari e una nuova casa da risanare e riorganizzare.
Eppure, nonostante tutto - nonostante gli affanni, le cadute, la tristezza di alcuni momenti e i soliti picchi di entusiasmo che mi lasciano sempre parecchio stordita - credo di avercela fatta. Due esami di latino superati entrambi con 28, tante soddisfazioni sul lavoro e un ottimo rapporto coi miei colleghi, la casa in campagna finalmente sistemata; agibile, abitabile e un po' stregata.

E così domani parto, per trasferirmi insieme a *lui* al paesello, con il mio bagaglio di libri, speranze, cianfrusaglie e col mio cagnolino al seguito, perché da lui proprio non posso separarmi.
Sarà bello cenare nella nostra piccola cucina, col canto sommesso delle rane che entra dalla finestra. Sarà bello progettare, condividere, fantasticare sul nostro futuro. A tutto il resto (al lavoro, ai miei genitori, al denaro) penserò più tardi, quando sarà inevitabile. Per ora mi basta aver scoperto che so amare con forza e semplicità - ed essere amata così come sono amata.
Di certo staremo al paese per tutto agosto. Poi, a settembre, valuteremo la nostra situazione economica - la mia situazione lavorativa - e decideremo il da farsi.
Purtroppo, nella mia nuova casa sarò (almeno per questo primo periodo) sprovvista di connessione Internet e perciò mi vedo costretta a chiudere "per ferie" il blog. Una pausa estiva, per ritrovarci a settembre con le ultime novità e riprendere il viaggio da dove l'avevamo interrotto.
Io adesso imbocco la mia "Bianca Strada di Polvere" per tornare, mi auguro, col fardello alleggerito e una scorta di bei ricordi, utili per riscaldare il prossimo freddo inverno.
Mi mancherete tutti, nessuno escluso.

A presto,

• Canidia •

lunedì 30 luglio 2007

Nostra Signora dei naufraghi

Ogni giorno, nel tragitto per andare al lavoro, passo con la bicicletta sul ponte che collega il mio quartiere al centro città.
Uno sguardo al fiume e il desiderio di acqua si fa sentire acuto, quasi irrefrenabile.
Io che non so nuotare e vado al mare solo d'inverno perché detesto la confusione e non sopporto il caos delle nostre spiagge.
Io che in estate ho bagnato i piedi sempre e solo nell'oceano, lassù, nella Francia del Nord, dove l'acqua è fredda e non invita certo a tuffarsi.
Ecco, anch'io quest'anno ho voglia di immergermi fino al collo e dimenticare tutto ciò che esiste al di sotto del cielo.
Non è solo per via del gran caldo, no. E' qualcosa di più grande e più forte. E' un'esigenza del mio intero essere, anima e corpo. E' la volontà di lasciare che - finalmente - i ricordi peggiori, il nervosismo, i puntigli assurdi e crudeli (miei, ma anche di coloro che mi circondano) fluiscano via, lontano da me. La malinconia nei confronti dei miei genitori che sto per lasciare, le parole che avrei potuto dire e che, invece, sono rimaste qui, in fondo alla mia gola - dolorose, incancellabili. Via, via, ogni nodo disciolto nell'acqua, senza dolore.
Voglio tornare ad ascoltare la voce delle onde, le parole dei gabbiani.

Mother Earth Icons di Canidia

Ne ho bisogno. Molto bisogno, visto che, durante questa luna di luglio, sono letteralmente esplosa, come non mi capitava da tempo. E questo nonostante fosse il primo fine settimana nella casa nuova (ora sono tornata dai miei per l'ultima settimana di lavoro) e tutti i miei buoni propositi di recuperare le energie e ritrovare i giusti ritmi di vita.
Beninteso, non sono esplosa con *lui* - ma con me stessa. Ho tirato troppo la corda: gli esami a ripetizione, il lavoro, le preoccupazioni economiche, l'ultimo litigio con mio padre... Ho preteso troppo, era ovvio che il rilassamento non potesse avvenire se non dopo un grande scoppio. Solo domenica sono riuscita a rilassarmi e a dormire profondamente, senza incubi né brutti risvegli.

Per tutto questo ora chiedo la purificazione, il silenzio, la pace...

lunedì 23 luglio 2007

La sibilla cumana - Parte I

E' la Sibilla di Eritre, figlia di Teodoro e di una Ninfa, ad essere identificata spesso con la Sibilla cumana, la veggente che accompagnò Enea nel suo viaggio agli Inferi.
Così viene presentata all'eroe da Eleno (fratello di Cassandra, sopravvissuto alla rovina di Troia), nel III libro dell'Eneide:

Una volta giunto fino qui, quando ti sarai avvicinato alla città di Cuma,
ai laghi divini e all’Averno che risuona delle sue foreste,
vedrai un’indovina invasata, che dal profondo di una grotta
predice i fati e affida alle foglie segni e parole.
La vergine trascrive tutte le profezie sulle foglie,
le dispone in ordine e le lascia chiuse nella caverna.
In quel luogo e nella giusta sequenza rimangono immobili;
ma non appena, fatto ruotare il cardine, entra
un vento lieve e l’apertura della porta confonde le foglie leggere,
mai, volteggianti nell’antro vuoto,
ella si cura di modificarne la posizione e di collegare le parole dei vaticini.
I visitatori se ne vanno senza aver ottenuto risposta e odiano la dimora della Sibilla.
Qui non credere che sia per te una perdita di tempo -
benché i compagni ti esortino a proseguire e la rotta reclami a forza
le vele in alto mare e tu possa gonfiare le pieghe propizie -
far visita all’indovina e implorarne con le preghiere il responso
così che predica il futuro e di sua volontà liberi voce e parola.

(Vv. 441-457, traduzione mia.)

[Quello che vi ho proposto è un brano di particolare bellezza, che precede di tre libri l'entrata in scena vera e propria della Sibilla. Delicata e al tempo stesso angosciante l'immagine dei vaticini scritti sulle foglie e poi dispersi dalla lieve brezza di una porta socchiusa: per questo i visitatori detestano l'oracolo. Sibilla è "colei che vede" e perciò si colloca al di fuori dell'umana comprensione, oltre i limiti di questo mondo: non a caso sarà proprio lei, come già accennato, a far da guida a Enea nell'Oltretomba.
Vi trascrivo il brano anche in lingua originale, con la giusta accentazione metrica: tanto per curiosità, qualora vogliate provare a leggere il ritmo armonioso dell'esametro latino:

Hùc ubi dèlatùs || Cymaè[am]accèsseris ùrbem
dìvinòsque lacùs || et Avèrna sonàntia sìlvis,
ìnsanàm || vat[em]àspiciès || quae rùpe sub ìma
fàta canìt || foliìsque notàs et nòmina màndat.
Quaècum[que]in foliìs || descrìpsit càrmina vìrgo,
dìgerit ìn || numer[um]àt[que]àntro || seclùsa relìnquit.
Illa manènt || immòta locìs || ne[que]ab òrdine cèdunt.
Vèr[um]eadèm versò || tenuìs cum càrdine vèntus
ìmpulit èt teneràs || turbàvit iànua fròndes,
nùmquam dèinde cavò || volitàntia prèndere sàxo
nèc revocàre sitùs || aut iùngere càrmina cùrat.
Inconsùlt[i]abeùnt || sedèmque odère Sybìllae.
Hìc tibi nè qua moraè || fuerìnt dispèndia tànti,
quàmvis ìncrepitènt || soci[i]èt vi cùrsus in àltum
vèla vocèt || possìsque sinùs || implère secùndos,
quìn adeàs vatèm || precibùs[que]oràcula pòscas,
ìpsa canàt || vocèmque volèns || at[que]òra resòlvat.

* Il simbolo "||" indica la cesura, ovvero una pausa nella lettura del verso.]

mercoledì 18 luglio 2007

Ripiantiamo gli alberi!

Un miliardo di alberi per riforestare il pianeta: è stata così intitolata la nuova campagna lanciata dall'UNEP (l'organismo delle Nazioni Unite che si occupa della salvaguardia del pianeta), che si pone l'obiettivo di "ri-forestare" la Terra, piantando ben un miliardo di nuovi alberi. Qui potete trovare tutte le informazioni.
I Paesi del Nord Europa, come la Norvegia, la Svezia e la Danimarca, si sono già mossi in questa direzione e i primi risultati iniziano a essere tangibili.
Se davvero si riuscisse a piantare tutti gli alberi previsti dal programma, potrebbero essere assorbiti 250 milioni di tonnellate di anidride carbonica che, come si sa, è la maggiore responsabile dell'innalzamento delle temperature.
L'immagine qui sotto mostra la progressiva (e drastica riduzione) della superficie forestale nel corso degli anni. La situazione attuale, come si può vedere, è piuttosto allarmante: ne sono una prova, oltre al già citato aumento della temperatura, anche le frequenti alluvioni e inondazioni (non bisogna dimenticare, infatti, che gli alberi, con le loro radici, tengono compatto il terreno, ostacolando naturalmente frane e colate di fango).






Immagini tratte da L'Albero Sacro

*

Quando togliamo qualcosa alla Terra, dobbiamo anche restituirle qualcosa. Sarebbe cosa giusta e ragionevole offrire alla terra semi e germogli, sostituendo così quelli che abbiamo distrutto.
Dobbiamo imparare una cosa: non possiamo sempre prendere, senza dare di persona.
E dobbiamo dare a nostra madre, la Terra, sempre, tanto quanto le abbiamo tolto.

Jimmie C. Begay, indiano Navajo

*

Che cosa possiamo fare noi, in concreto?

Di associazioni disposte a "piantare per voi" gli alberi e a mantenerli (dietro giusto compenso, s'intende) su Internet ne troverete a bizzeffe. Perciò non mi metterò qui a compilare una lista di link e vi rimando a Google, confidando nella vostra lungimiranza.
Io (che in certe circostanze non m'accontento mai di dar fiato al portafogli, ma preferisco sporcarmi le mani... di terra, in questo caso!) accordo la mia preferenza al metodo fai-da-te. Cito da L'Albero Sacro:

Come suggerisce Wangari Maathai, prima donna africana Premio Nobel per la Pace nel 2004, chiunque può scavare una buca, metterci dentro un albero e poi innaffiarlo affinché non muoia. Nel mondo siamo sei miliardi di persone e se anche solo una ogni sei piantasse un albero l'obiettivo sarebbe raggiunto. Piantate dunque alberi per celebrare le vostre ricorrenze invece di regalare come spesso accade cose inutili, piantate alberi per le nascite, i compleanni, gli anniversari, i matrimoni o anche per ricordare i defunti a voi cari.

Fra l'altro, come ci tramanda Svetonio nella Vita di Virgilio l'usanza di piantare un albero in occasione della nascita di un bambino (oggi rimasta viva in ambito anglosassone) era presente anche in Italia: pare infatti che la madre del poeta abbia piantato per il figlio un piccolo pioppo che diventò, successivamente, una mèta fissa per le donne in procinto di partorire. Lì "si facevano e si scioglievano voti", per assicurare che la nascita dei bambini avvenisse sotto buoni auspici. E dunque: perché non ripristinare le vecchie usanze, quando queste possono far bene al pianeta, oltre che al nostro spirito?

sabato 14 luglio 2007

Le otto "R"

Il fatto che un sito come Il Cerchio della Luna abbia inserito un articolo ispirato al brano di Serge Latouche sull'importanza delle 8 "R" (rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare e riciclare) e riguardante la necessità di un ritorno alla conoscenza e al rispetto della Natura mi riempie di orgoglio, perché significa che, nel mio pur confusionario post sull'argomento (questo qui, dove parlavo senza alcun ordine di coerenza e responsabilità), non mi ero poi allontanata molto dalla verità.
Questo per dire che ci sono momenti in cui mi sento meno "marziana" del solito e ciò mi rende molto felice.

Al di là delle mie considerazioni personali (che, come sempre, lasciano il tempo che trovano), c'è da aggiungere che il breve saggio di Latouche è capace, con poche, semplici parole, di sollevare il pesante velo che negli ultimi decenni è calato impietoso davanti ai nostri occhi. Imperdibile e illuminante:

La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.

Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.

Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.

Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).

Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.

Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.

Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

Per eventuali approfondimenti, vi rimando al sito Decrescita.it.

martedì 3 luglio 2007

Pronto soccorso

Sabato sera, come vi avevo accennato nel post precedente, siamo andati in montagna, a mangiare la polenta con una coppia di amici.
Dopo cena, ci siamo seduti sotto la campata del sagrato della Chiesa Maggiore, a Oropa, e siamo rimasti lì a chiacchierare. Oltre a noi c'era soltanto un'altra coppia di fidanzati, seduta a breve distanza, la notte e il cielo coperto dalle nuvole.
Intorno a mezzanotte sentiamo un forte pigolìo (più simile a uno "squittìo" - o a un grido) e vediamo il ragazzo dell'altra coppia alzarsi e andare verso una piccola sagoma scura, che si dibatteva per terra, aprendo invano le ali.
"Un pipistrello", pensiamo, tanto più che la ragazza si mette a strillare: «Che schifo!».
Restiamo a osservare la scena per un po', da lontano; ma poi i due abbandonano l'animale e - non c'è niente da fare - io devo andare a vedere cos'è successo.
Mi avvicino insieme a *lui* e ai miei amici e scopro che non si tratta di un pipistrello, ma di un rondone.

Nota: il rondone comune adulto a prima vista può sembrare tutto nero. In realtà le penne del suo dorso sono di colore marrone scuro, mentre le parti inferiori sono color ferro, anch'esso molto scuro.
Gli esemplari più giovani si riconoscono abbastanza facilmente: sono interamente di colore grigio scuro e hanno il bordo delle ali contornato da una sottile linea bianca.
Quelle che vediamo sfrecciare nei cieli delle nostre città e che erroneamente chiamiamo "rondini" sono in realtà, nella maggior parte dei casi, rondoni.

La tizia gridava "che schifo" semplicemente perché l'uccello aveva una zecca sul dorso.
Poiché ho una certa esperienza in fatto di pennuti in difficoltà (io e mio padre li soccorriamo quando cadono dai nidi fin dai tempi della mia infanzia) prendo un fazzoletto di carta e ammazzo l'insetto. Il rondone smette di gridare, ma continua a dibattersi.

Nota: se mai doveste imbattervi in un uccello malandato, bisognoso del vostro aiuto, e decidiate di prestargli aiuto, ricordate che potrebbe essere infestato da parassiti di questo genere che, molto probabilmente, si staccheranno e inizieranno a muoversi sulle piume quando lo prenderete in mano. Cercate di liberarlo, perché le zecche possono indebolire parecchio l'animale a cui si attaccano. Io in genere, sfidando il pericolo (!) le tolgo con l'aiuto di un fazzoletto (quando sono distaccate si prendono abbastanza facilmente). Se invece avete un veterinario a disposizione, fatevi dare un antiparassitario per uccelli, che dovrà essere spruzzato avendo cura di evitare la zona del becco e gli occhi.


Immagine tratta da Wikipedia

Lo prendiamo, andiamo sul prato antistante la chiesa e proviamo a farlo volare, dandogli una piccola spinta e tenendolo sul palmo della mano, poiché i rondoni non sono in grado di alzarsi in volo da terra.
Niente da fare. Il piccolo non vuole saperne.
Di lasciarlo lì non se ne parla: è buio e sarebbe facile preda di gatti e rapaci. Senza contare che, dal momento che non riesce a sollevarsi, difficilmente potrà volare il mattino seguente. Temiamo che si sia rotto un'ala: di certo ha sbattuto, forse disorientato a causa dell'oscurità o inseguito da un predatore.
Lo avvolgiamo in un fazzoletto e lo portiamo a casa. Nel tragitto in macchina, il rondone si addormenta nella mia mano - e io gli faccio buona compagnia.
Arrivati a casa, io e *lui* gli prepariamo un piccolo nido, ricavato da una scatola da scarpe: siamo costretti a mettere il coperchio (dopo aver praticato i necessari fori per l'aria) perché il nostro esemplare è sì giovane, ma è già perfettamente in grado di volare (o quasi, verrebbe da dire, visti i risultati!).

Nota:
coi piccoli è sufficiente porre uno straccio sopra la scatola, rivestita di pezze di stoffa morbide e/o scottex (io in genere faccio un doppio strato, lasciando sopra lo scottex: è più facile da pulire). Con gli adulti, ovviamente, no. Non fatevi tentare e non mettete un rondone in gabbia, neppure se ne possedete una inutilizzata: nel tentativo di volare e di sfuggire alla prigionia finirebbe per ferirsi. Piuttosto, se le cose vanno per le lunghe e non volete tenere l'animaletto costretto nello spazio angusto di una scatola (un piccolo sopporta il "nido" più che bene, anche se artificiale; un adulto no), affidatelo alla guardia forestale, alla LIPU o a qualche centro specializzato.

Gli diamo da bere, di mangiare non vuole saperne. Quindi lo lasciamo tranquillo. Dorme tutta la notte, nella nostra stessa stanza. Solo al mattino inizia a muoversi, raspando contro il cartone non appena la luce inizia a filtrare dalle finestre. Sembra stare meglio. Lo prendo e saggio la forza delle sue zampette, dal momento che mi era sembrato fossero il suo punto debole. Mi sbagliavo: si aggrappa con forza alla zanzariera e sembra non resistere alla tentazione di lanciarsi di nuovo nel cielo azzurro.

Nota: i rondoni prendono lo slancio per volare proprio grazie alle loro robuste zampe. Non di rado, infatti, partono proprio da questa posizione:


Immagine © Legambiente

A quel punto, allora, *lui* decide di fare un ennesimo tentativo (io sono stata costretta a restare a casa, a studiare per un esame!) e, in un prato tranquillo, nei pressi dell'ospedale, prova a liberare il nostro rondone. Il piccolo spicca immediatamente il volo, gira tre volte sopra la sua testa e poi si allontana.
Stordito (e forse indolenzito) dalla botta contro il colonnato della chiesa e dall'oscurità, il rondone sarebbe senz'altro morto, ucciso da qualche altro animale, se non lo avessimo soccorso. Per fortuna non aveva nulla di rotto e gli è bastata una buona dormita e aver ingerito un po' d'acqua, per rimettersi completamente.

Purtroppo, non sempre le cose sono così facili. Allevare o soccorrere uccellini è quanto mai difficile: sono animali molto, molto delicati.
Ricordatevene sempre, quando li maneggiate.
Inoltre, parlate loro sovente, con dolcezza, grattate con un dito la loro minuscola gola: vi meraviglierete della facilità con cui comprenderanno che non volete fargli alcun male e che si possono fidare di voi...

Prossimamente, magari, qualche indicazione sull'allevamento dei piccoli.

martedì 26 giugno 2007

Pretty good things

C'è di buono che sabato io e *lui* abbiamo festeggiato il solstizio con una cena al sacco sulle colline, alla luce della luna: ho cercato di farmi perdonare l'insopportabile ansia pre-esame a cui sto dando libero sfogo in questi giorni.

C'è di buono
che, dopo martedì, potrò godermi l'estate, lavorando molto per recuperare i giorni che trascorrerò a casa a studiare (ma io sono più contenta, quando lavoro) e pensando alla mia prossima vacanza, ad agosto: la prima, dopo parecchi anni trascorsi ad annoiarmi nell'afa della Valpadana.

C'è di buono che Valeria mi ha portato la ricetta dello yogurt e, poco fa, uscendo col cane, ho visto due piccioni volare appaiati da destra verso sinistra: qualcuno, molto molto tempo fa, sosteneva che fosse di buon auspicio.

C'è di buono che la mia nuova casa è quasi finita ed è graziosa e strampalata come si addice a un rifugio lontano dal mondo.

C'è di buono che questo weekend andremo a mangiare la polenta in montagna, così potrò contare le lucciole e parlare (a vanvera) coi miei gufi.

La nota stonata?
La madre dei cretini è sempre incinta.

lunedì 4 giugno 2007

Sarà anche la catena alimentare, però...

Dovete sapere che io adoro i gufi.
E non mi limito a collezionare graziose statuine d'argilla dei simpatici volatili, no no.
Io mi apposto, per vederli. Nelle sere d'estate, io e *lui* giriamo per ore, nella campagna circostante il nostro paesello, nella speranza di scorgere un rapace notturno - anche solo una piccola civetta.
E poi mi documento: leggo libri sull'argomento, visito siti come questo.
Inutile dire che uno dei sogni più ambiziosi che nutro per la mia nuova casa è di avere un bel nido di barbagianni nel sottotetto o nella legnaia.
Ebbene, domenica - come di consueto ormai - io, *lui* e i nostri quattro genitori andiamo nella casetta a lavorare: siamo a buon punto con la tinteggiatura, ma c'è ancora parecchio da fare.
A un certo punto mia madre si affaccia sul cortiletto posteriore, guarda giù ed esclama: «Oh, che schifo! C'è un piccione morto e mezzo mangiato! Devono essere stati i gatti!».
Armata di forte stomaco e di scopa e paletta, tiro un sospiro rassegnato e faccio per andare a pulire. Mi avvicino... guardo... incrocio lo sguardo con Anna e rabbrividisco. Lei ha avuto la mia stessa intuizione: «Ma non è un piccione...».
No, non era un piccione. Era ciò che restava di un gufo comune, con le sue zampette rattrappite e le penne nere e marroni sparse per tutto il cortile.

Ora, sarà anche la catena alimentare, però... insomma... ecco...

mercoledì 30 maggio 2007

Post futile e fatato

Eccole qui, le fate che ho deciso di collezionare. "Qualcuno" me ne ha regalata una proprio sabato scorso: la fata della notte, che è una piccola canidiotta in miniatura, nera nera come un corvo e con lo sguardo distratto (se sfogliate il catalogo: è quella sopra la bolla...).

giovedì 17 maggio 2007

Ditemi voi che cos'è una strega...



Medea. Cassandra. Giovanna D'Arco. Lois del racconto Lois The Witch, di Elizabeth Gaskell. E poi ancora Canidia (quella vera, s'intende...), le streghe di Salem, gli "stregoni" Valdesi di Arras, Reine Percheval.
Tutte streghe? Di primo acchito verrebbe da rispondere: «No».
Che nesso potrebbe mai esistere, infatti, la moglie infuriata di Giasone e la profetessa che invano tentò di scongiurare la caduta di Troia? Oppure fra santa Giovanna, la pulzella di Orléans, e le fattucchiere del New England?
E invece il legame c'è. Il filo rosso che lega queste donne (e uomini) del mito, della storia e della letteratura passa attraverso il significato della parola strega.

Chi è la strega?
Nella più sofisticata delle ipotesi, è colei che agisce sulla realtà che la circonda, modificandola, plasmandola, sentendola.
In questa visione intellettualistica, raffinata ed ermeneutica della stregoneria si inseriscono Cassandra e le donne del mito, Lois la Strega e molte altre che al momento non rispondono all'appello della mia memoria.
Nella realtà, può essere sia una donna intelligente (non necessariamente colta, ma empatica, catalizzatrice di pulsioni e confidenze, come nel caso della povera Lois, nel magistrale racconto della Gaskell - o come la Medea del romanzo di Christa Wolf), sia un'incauta popolana (Reine Percheval, Bridget Fitzgerald - ancora della Gaskell - le donne di Salem), disadattata, priva di un appoggio familiare e in cattivi rapporti con la comunità locale.
In ogni caso, si tratta sempre di donne che modificano la realtà loro prossima, catalizzando le simpatie o le antipatie di quanti le circondano, suscitando invidia o repulsione, amore o furore. In questo senso, hanno perfettamente ragione quanti affermano che streghe si nasce, non lo si diventa.

Come si manifesta la stregoneria?
La magia (ovvero, si è detto, la capacità della strega di operare sulla realtà: non solo a livello emozionale, ma anche pratico: si pensi a quanta importanza assumessero presso le comunità del passato le conoscenze erboristiche, ad esempio) nasce dall'interiorità della strega, dal suo modo di essere e di relazionarsi con la realtà (nel bene e nel male) e si propaga attraverso di lei come un'onda d'urto, provocando re-azioni. Purtroppo per la strega, si tratta quasi sempre di reazioni negative: si teme ciò che non si conosce, si cerca di sopprimere ciò che è diverso dalla maggioranza. E, inoltre, l'uomo è sempre alla ricerca costante di un buon capro espiatorio.
La strega, perciò, raggiunge la propria pienezza attraverso la rottura, la frattura con il tessuto sociale in cui ella stessa è (stata) inserita. E' nel momento in cui i legami si spezzano, che la donna-strega riceve il suo battesimo di fuoco.

Mi rendo conto che un simile discorso possa apparire un po' sui generis.
Forse, non è stato neppure del tutto chiaro. Del resto, quello che avete letto è il primo abbozzo di un ragionamento che io stessa ho appena iniziato a dipanare. La mia intenzione è andare oltre le cerimonie, oltre la "nuova" magia ritualistica, per riscoprire il senso profondo della Natura e della Donna. Dove per Donna non intendo tutte le donne (non m'interessano le vigliacche, le omologate con le tette sode e il nasino rifatto, i grembi sterili in onore della carriera e le donne-mitra, che ormai hanno rinnegato completamente la propria identità), ma le donne che hanno compiuto determinate scelte. O che non hanno neppure la consapevolezza di averle compiute - ma semplicemente sono.

lunedì 30 aprile 2007

Tira il vento

Sta arrivando il vento. Di quelli che portano polvere, e nuvole cariche di pioggia. Il vento forte che scompiglia i capelli e le sottane. Il mio vento. Sono stanca, molto stanca, ma viva.

Arriveranno buone nuove, me lo sento. Perfino per quanto riguarda il nonno. Dev'essere così, se le campanule viola, sul terrazzo, si agitano con tanta trepidazione.

E' nell'aria. E volo anch'io, questa sera.

sabato 21 aprile 2007

Tutti i nodi vengono al pettine

Questa mattina sono andata a sistemarmi i capelli: la frangia era cresciuta troppo e mi dava fastidio. E io o d i o tenere la fronte scoperta: è come se mi trovassi senza difese. Complessi stupidi.
Mentre Erika mi faceva lo shampoo, mi sono ricordata che oggi Valeria (la mia "ex-grande-amica", di quand'ero una ragazzina sognatrice) si sposa. L'ipocrita celebrerà il matrimonio in chiesa, non avrebbe potuto essere altrimenti.
Non so se sia stato questo, a farmi saltare i nervi - o la tensione accumulata in vista dell'esame.
Fatto sta che sono stata assalita di nuovo da un'ondata di... come posso definirlo? Nichilismo? Menefreghismo da vigliaccheria galoppante?
Mi sono sentita spogliata di tutto: in fin dei conti...

a) ho un lavoro, ma è a tempo determinato e a ottobre sarò a spasso di nuovo; a meno che non accetti il compromesso e non finisca a insegnare;
b) ho una casa, e va bene, ma è ancora tutta da sistemare, ammobiliare ecc. ecc. E mi sembra un'impresa troppo grande, da portare a termine;
c) mia madre non perde occasione per farmi saltare i nervi;
d) punto non ben definito riguardante l'università ("Oddio e se non riesco a laurearmi, e se non passo latino, e quanto ci vorrà ancora per questo benedetto pezzo di carta" ecc. ecc.).

Io non sono gelosa di nessuno. La gelosia non ha mai fatto parte del pur ampio spettro dei miei difetti. Non è per invidia che vacillo, quando metto a confronto la mia vita con quella degli altri. Piuttosto, credo che si tratti di debolezza. Caviglie troppo deboli, perché io riesca a restare in piedi anche quando il vento soffia forte.

E tutti i nodi, alla fine, vengono al pettine. E' il grande gioco degli inganni. Ogni volta che mi sento "arrivata" devo lottare con tutte le forze, per non tornare indietro, costretta dalla mia paura.

La casa della strega

Ho deciso: le porte, al piano di sopra, le voglio lilla. Con le rifiniture d'argento, perché le stanze da letto sappiano di luna.
E poi voglio mille colori e candele e fiori e animali... Con le tortore e i passerotti già ho un buon rapporto. Devo solo avere pazienza con la Tina, il cane del vicino: un bracco ululante e stizzoso, poco abituato a vedere gente nel cortile accanto al suo e che abbaia tutto il giorno, con quel vocione che si ritrova - Uuuuuffff! UUUUUFFFF!

(E devo avere pazienza coi miei amici, che parlano, promettono e poi scompaiono - e, quando tornano, lo fanno nei momenti peggiori: non cambieranno mai e dunque tanto vale che io li prenda così, come sono.)

E poi via il vecchio attaccapanni a muro, rivestito con le perline in finto legno. Voglio il muro liscio e appendini in ferro battuto stile rétro e una cornicetta di stucco bianco. E la tristezza dell'inverno, quel senso di oppressione che mi schiacciava qui, proprio alla base del collo, e non di rado mi faceva uscire la voce tutto d'un colpo (quando gridavo e piangevo e volevo mandare tutto all'aria: i sogni e le speranze e ogni cosa per cui valesse la pena di vivere, solo perché ero troppo stanca per andare ancora avanti) - via, verrà spazzata fuori. Fuori dalla porta, fuori dal cortile della Casa Nuova.

E della Nuova Canidia, che oggi è così - e domani chissà.

venerdì 13 aprile 2007

Conto alla rovescia

- 3 giorni e mezzo all'esame di latino. E a me sembra di non sapere niente.
Fra poco, a forza di scandire esametri, pentametri e strofe saffiche, finirò per parlare in versi.
Sono stanca, non ne posso più di stare sui libri. Mi sono addirittura presa quattro giorni di permesso sul lavoro, per prepararmi; ma non so fino a che punto servirà. E' un esame duro e io non ho più testa per queste cose.
Ed è da... quanto? Un mese? Di più?... che non metto più piede nella nostra nuova casa. Ha fatto tutto "lui": ha parlato coi muratori, con l'idraulico, ha seguito i lavori... Mi fido, certo, ma mi piacerebbe poterci andare, almeno una volta ogni tanto. Soprattutto per pulire, ora che hanno finito di rompere e hanno chiuso le tracce. Oppure vorrei andare all'Ikea a comperare i mobili del bagno, visto che li ho trovati, mi piacciono e non trovo mai un pomeriggio libero per andarli a ritirare.
Niente casa, niente shopping, bando alle frivolezze.
Che cosa mi tocca, in queste ultime settimane? Restare chiusa in casa a studiare letteratura latina. E neppure testi interessanti come - che so - gli Epodi e le Satire di Orazio più divertenti (ce ne sono non poche che trattano anche della magia!). No, noi siamo fermi (sempre! E ancora!) al passero di Catullo.

Lo so. Sono noiosa. Lamentosa. E vedo tutto nero. Alla vigilia degli esami è sempre così. Mi trasformo in una nuvola carica di pioggia, che borbotta e minaccia tutto il tempo.

La smetto, la smetto.
E torno al mio passero.

giovedì 12 aprile 2007

Aconito

Nome: Aconito napello
Famiglia: Ranuncolacee
Diffusione: zone di collina e di montagna
Descrizione: pianta dotata di un rizoma (fusto sotterraneo) che ogni anno emette una radice e una parte aerea. Il fusto può arrivare anche a un metro e mezzo d'altezza. I fiori possono essere di diverse colorazioni (vedi le foto in basso): caratteristici e più diffusi quelli di un bel viola acceso.

L'aconito è una pianta spontanea perenne, appartenente alla famiglia delle Ranuncolacee, molto diffusa nei terreni montagnosi e collinari. Cresce bene nelle zone umide (predilige i terreni freschi e ricchi di sostanza organica) e la sua fioritura avviene fra luglio e settembre.
E' molto graziosa, ma altamente tossica. Lo sono in particolar modo le radici, che possono malauguratamente essere confuse con altri tuberi commestibili. A tale proposito sarà bene fare molta attenzione: le radici di aconito sono velenose e una quantità anche minima può essere fatale, qualora venga ingerita.
Anche gli steli e le foglie della pianta vanno maneggiati con cautela. Cito da Internet: «A volte si sono avuti intossicazioni e fenomeni irritativi locali solo tenendo un mazzo di questa pianta nelle mani, perchè i principi attivi vengono assorbiti anche attraverso la pelle». E' pertanto buona norma detergersi sempre accuratamente le mani dopo aver avuto un contatto diretto con questa pianta.



Le due immagini soprastanti raffigurano l'Aconitum napellum.
La foto qui sotto riguarda un'altra varietà di aconito, l'Aconitum lycoctonum, ugualmente pericoloso: il suo veleno veniva usato in passato per uccidere volpi e lupi, da cui il nome. Lykos, infatti, in greco significa "lupo".


E, ancora, le foglie dell'Aconito di Lamarck:

mercoledì 11 aprile 2007

Lunedì sono tornata alle mie colline, dopo due settimane di assenza a causa del maltempo. Ho camminato tutto il giorno fra boschi e prati, in pace con me stessa e con gli altri.
C'era anche Mara e devo dire che siamo state bene. Ho cercato di convincerla a dedicarsi insieme a me a qualche attività manuale che possa aiutarci a distendere i nervi e, al tempo stesso, a riunire il nostro gruppetto disgregato. Come al solito si è dimostrata entusiasta, ma non so fino a che punto poi riuscirà a comportarsi di conseguenza.
Ormai non mi arrabbio più.
Del resto, farsi prendere dallo sconforto in mezzo a quei boschi, con i raggi del sole che filtravano in mezzo agli alberi, il profumo dell'erba, dei lillà che avevo infilato fra i capelli e il sussurro della Terra, che sembrava dirmi: «Bentornata» - ecco, sarebbe stato un autentico sacrilegio.

Passeggiando, ho trovato il mio bastone. L'ho cercato per tutto questo tempo, durante le mie escursioni, e finalmente...

E' proprio quello giusto: di legno di castagno, non troppo pesante e neppure troppo esile, con una piccola biforcazione sulla punta. E' più alto di me, ma non importa. Sarà un sostegno robusto...

(... mi sento sola, è vero. Ora che con "lui" le cose vanno bene, ora che la nostra nuova casa è quasi pronta e potrò sbizzarrirmi ad arredarla e a coltivarvi tutti i fiori che voglio, sento la mancanza di ciò che ho lasciato indietro, non per mia volontà. Parlo di Mara, Katia, le uniche sorelle che io abbia mai avuto. Così svagate, così distratte. Assenti. Con loro non riesco più a condividere ciò che cresce dentro alla mia anima. E non è un caso che proprio in questo momento io sia ricorsa al web: nutro la speranza di trovare qui qualcuno con cui condividere le mie scoperte, le mie impressioni - tutti i miei appunti sulle erbe... perfino questi frammenti di "diario", che senso hanno, se non ho più le mie sorelle? Certo, potrei confidare tutto a "lui". Ma "lui" sa già. Sa tutto. A volte gli basta un solo sguardo, per capire. Non per nulla lo chiamo Il Mago Bicentenario.)

giovedì 5 aprile 2007

Ci sono stati giorni...

... in cui non uscivo di casa. Ho trascorso due anni restando immobile, pietrificata nella paura della paura. Non studiavo, non lavoravo, non vivevo. Non amavo.
Mangiavo poco, dormivo ancora meno. Magra sono sempre stata magra, ma nel periodo in cui Max era lontano (e Ale troppo vicino, con la sua negativa influenza) ho esagerato.
Poi qualcosa si è rotto. Una piccola fiata di vetro, che ha prodotto un rumore secco, senza importanza, ma che mi ha permesso di tornare a espandermi, a fluire.
Oggi Amo, Vivo, Lavoro (e studio). Sono tornata alla campagna, alla mia terra. Mi sento piena di vento, se avvicino le mani al volto, sento l'odore dell'erba, della terra umida a primavera.
Queste pagine saranno il "diario di bordo" del cammino che ho intrapreso un anno e mezzo fa, il riferimento costante a margine del sentiero.
Ora ho le idee più chiare, ma la mia vista è ancora sfocata. Ho bisogno di tempo, ho bisogno di riflettere.

lunedì 22 gennaio 2007

La maga Alcina

Il Piemonte, con le sue colline e i suoi "monti sacri" (molto probabilmente antichi retaggi pagani, come ben sottolinea NycteaNoctua), è una terra piena di racconti popolari, di favole e leggende che spesso hanno come protagoniste proprio streghe, maghe e fattucchiere.

Fra le più celebri vi è senza dubbio la maga Alcina, originaria del paese di Ottiglio (AL).

Ecco che cosa si racconta di lei fra le colline:

Notte del solstizio d'inverno: nella valle dei Guaraldi si verifica uno strano fenomeno.
Nel silenzio della notte, sul fianco della collina, dall'apertura di una grotta comincia a uscire una luce bianco latte, che si diffonde, aumentando d'intensità, fino a invadere e illuminare a giorno tutta la valle.
Poi, nel momento esatto del solstizio, dall'imbocco della grotta dove più intensa è l'emanazione, ecco apparire una figura femminile luminosissima, ricoperta da un lungo abito candido: è la maga Alcina.
Mentre tutta la valle risplende di una luce magica e misteriosa, la donna, giunta sulla soglia della caverna, si ferma a pettinare lentamente i suoi lunghi capelli biondi.
Dopo circa un quarto d'ora, la luce adagio si smorza, tutto scompare e la valle ripiomba nel buio profondo della notte.

Fonte: Camminare il Monferrato - Itinerari fra natura, arte e cultura, ed. "Il Monferrato", Casale Monferrato, 2002.

La grotta in cui si pensa che la maga Alcina abbia la sua dimora è la Grotta dei Saraceni, in località Moleto (frazione di Ottiglio).
Figura tutt'altro che rassicurante e benevola, nonostante l'alone candido e luminoso che la circonda a ogni apparizione, Alcina sarebbe in realtà capace di ispirare autentico terrore in chiunque la incontri sul proprio cammino.
Secondo un racconto popolare, un giovane che attraversava quasi ogni notte la valle dei Guaraldi per andare a trovare la fidanzata, una notte (forse proprio la notte del solstizio) s'imbatté nella bellissima donna dai capelli biondi e fu preso da una tale paura da rifiutarsi, nell'avvenire, di percorrere di nuovo la stessa strada, sia pure per recarsi dall'amata.