lunedì 15 febbraio 2010

Dei varchi, della permanenza

Come spesso capita, le riflessioni che affido a queste pagine (e che trattano, seppure indegnamente, anche di argomenti importanti) nascono dai fatti del quotidiano, da piccoli avvenimenti su cui - in teoria - non bisognerebbe sprecare troppe parole. A me, invece, piace utilizzarli (o, per meglio dire, loro utilizzano me!) per sollevare veli, dischiudere porte, azionare il caleidoscopio colorato e movimentato dei pensieri...

L'altro giorno mi sono arrivate da correggere le bozze di un romanzo storico: il libro non è un capolavoro, è scritto in modo abbastanza dozzinale, con un pessimo utilizzo della punteggiatura... Unico pregio dell'autore, una caratterizzazione sapiente dei personaggi che, nonostante i difetti stilistici, mi ha catturata nella lettura più di quanto non consenta la professionalità di un redattore.
Il romanzo era ambientato nell'antica Sumer e, come sempre mi accade quando si tratta di popoli antichi, ho subìto prepotentemente il fascino di quelle culture ormai disperse fra le sabbie del tempo, del loro modo meraviglioso di intendere la religione e la maghéia.

Il "nodo" è qui: nel rapporto intimo con il passato, nell'inspiegabile sentirmi parte di un'epoca e di un luogo che non mi appartengono (almeno in apparenza). Queste sono le cose a cui pensavo mentre leggevo e correggevo, correggevo e leggevo... Ho ricordato le sensazioni sconvolgenti provate sull'Acropoli di Atene molti anni fa, ho ripensato ai varchi, di cui parlavo la volta scorsa.

"Porte" particolari fra questo mondo e l'Altro; fra il Presente e il Passato; fra il Vero Sé e il Falso Sé. Ignorare un varco aperto o, peggio, tentare di chiuderlo può essere pericoloso. Si interrompe il flusso, lo scorrere della linfa e si finisce per restare imprigionati in una "bolla di oscurità", sopraffatti dall'onda nera.

Credo che ciascuno di noi abbia i suoi mezzi prediletti per "passare" e per "scorrere" attraverso questi varchi. A volte mi piace chiamarli anche "metafore ossessive".
Io, ad esempio, ascolto la linfa nel sangue. E in questo mese di confusione e vaga tristezza, guarda caso, il mio sangue ha rallentato. Interrotto, spezzato. Come mi sento interrotta e spezzata io: non sento, non ascolto, non ne sono capace. Non questo mese.
E allora mi rivolgo al Serpente - altro simbolo a cui sono legatissima, ma a cui ricorro solo in certi momenti.


Lucien Levy Dhurmer, Eva

Non è forse liquido, il movimento del serpente?
Non c'è forse qualcosa di REALMENTE DIVINO nel suo essere schivo, quasi mansueto, a dispetto del veleno che reca in corpo? Morte nella Vita!
E non è forse in questa liquidità perfetta, in questo equilibrio perpetuo che si inserisce l'immagine del cerchio: la pelle che cambia, l'ouroboros! E così, avanti, a tamburo battente, ricercando segni, significati...

«Sua madre è un serpente, ed avverrà che ella ascolterà sempre le parole di sua madre, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Si avvicinerà, si avvicinerà per avere vendetta, e avverrà che distruggerà gli uomini, i nobili e i servi che sotto giuramento sono a servizio del re, tutti coloro che appartengono al re! Andrà ...a fare un bagno di sangue e non ne avrà vergogna!»

(Hattusili I Testamento)


2 commenti:

NycteaNoctua ha detto...

Tra l'altro il Serpente si risveglia proprio alla Candelora, SENTE il Sole lontano e lo chiama! Come te!!! Ieri ho letto una tua Poesia ed ho sentito il Sole fortissimo (più tardi ne scriverò perchè è stata una sensazione NETTISSIMA)...trasmetti proprio questo: il Sole, per questo mi piace tantissimo la foto che hai messo sul tuo profilo di FB. Quella sei tu, a dispetto delle Lande Piemontesi ;-)))
Ah poi io il Serpente lo vedo tanto anche come un SENTIERO, con quel suo snodarsi sinuoso.

Un bacione :*

Canidia ha detto...

E c'era perfino il Vento, come ti ho scritto di là...
Ci sono corrispondenze molto forti, in questo periodo, Nyctea! Che lasciano davvero senza fiato...

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