giovedì 28 aprile 2011

Della magia antica - Parte II

I parte

La figura del mago nel mondo greco-romano

Nell'antichità greco-romana, il mago non è colui che si oppone alla religione ufficiale (come, invece, accadrà in Europa in epoca cristiana). Al contrario, il mago si relaziona direttamente con la divinità e la "parola magica" è, prima di tutto, parola divina. Allo stesso modo in cui il poeta è "invasato" dal dio (ne riceve la parola e la trasforma in linguaggio comprensibile all'uomo), il mago trasforma la parola "comune" in parola "magica" (incomprensibile ai più) e, non di rado, trascrive queste parole sulle statuette della divinità. Esistono ancora numerose tracce di simili defixiones, provenienti dai luoghi di culto della dea Demetra.
La magia, dunque, come mezzo (il mezzo più istintivo, profondo, non mediato dalla cultura "alta") per raggiungere il divino.


John Collier, La sacerdotessa di Delfi

Così almeno il mago era considerato dalla popolazione e dalla mentalità comune.
Una delle più preziose fonti a nostra disposizione in tal senso è l'orazione del retore e filosofo platonico Apuleio intitolata Apologia sive de magia e scritta in occasione del processo che il filosofo dovette affrontare intorno al 161 d.C.

Il De magia di Apuleio

Apuleio ha uno stretto rapporto con la tematica magica: fondamentale per studi e approfondimenti sull'argomento è altresì L'asino d'oro, in cui Apuleio descrive gli effetti devastanti sul protagonista Lucio (omonimo dell'autore - particolare non irrilevante) della temibile magia tessala, che saranno cancellati solo grazie all'intervento di Iside e in seguito all'ingresso di Lucio nei riti misterici dedicati alla dea.
Il De magia, al contrario, non è un'opera di invenzione, ma il resoconto del processo che Apuleio dovette affrontare, per difendersi dall'accusa di "magica maleficia", espedienti malevoli utilizzati, secondo gli accusatori (Sicinio Claro e Sicinio Emiliano), per sedurre e sposare la ricca vedova Emiliana Pudentilla e impadronirsi così del suo patrimonio.
Al di là dei fatti, il De magia risulta particolarmente importante per il ritratto che Apuleio fa del mago, calandolo nella società a lui contemporanea e definendo con precisione che cosa sia e non sia chi fa uso della maghéia.
Due sono quindi i principali assunti dell'opera:

1) la concezione popolare del mago (cui si è fatto menzione nella parte introduttiva di questo post);
2) la magia (se può essere in qualche modo accostata alla religione, come detto poco sopra) si differenzia nettamente dalla scienza e dalla filosofia.

La dicotomia fra filosofia e magia, fra filosofo (intellettuale) e vulgus (folla, popolo) è ben evidente nel De magia.
«Per Apuleio, la contrapposizione fra magia e filosofia traduce la contrapposizione fra cultura e ignoranza; e anzi, più precisamente, fra cultura urbana e ignoranza campagnola. Si tratta dunque di uno scarto sociale» scrive F. Graf a p. 81 del suo saggio La magia nel mondo antico. Con ciò, il cerchio si chiude: se la concezione popolare voleva che la magia fosse l'espressione più "autentica" del divino, ecco che risulta comprensibile come un filosofo - indagatore del divino in taluni casi - possa essere scambiato per un mago e accusato di "magica maleficia".

[Continua.]

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